Ok, ok, prendiamo la nostra bella copia con le pinze antiradiazione, precauzione ma anche gesto simbolico per indicare che con 'sto coso o ci vivi o ci muori. D'altronde la linea delle precedenti (1990-2000) produzioni maideniane ci abitua a non poterci permettere vie di mezzo.
Ricordate i precedenti due floppazzi "Virtual XI" e "The X Factor"? Io sì, purtroppo per me e per il neosestetto londinese, prima flagellato dalla presenza dell'inadatto e imbarazzante Blaze Bailey, sì un buon singer, ma solo per quelle venti canzoni di repertorio in cui non bisogna salire di quell'ottava che tirava fuori le magagne di questo camaleontico hard-rocker.
Ma lasciando i discorsi alle proprie adeguate sedi, metto il cd nel lettore, anche se con spirito diverso rispetto a quando feci la stessa cosa con l'eccelso "Piece of Mind", perché questa è la volta buona che mi cade il mito...

Parte la sparata "The Wicker Man", granitica, potente, ma che sa di vecchio come un album di Celentano, col solito riff sordo e saturo di overdrive che sì impatta, ma che richiama le precedenti produzioni. Nonostante tutto un'ottima canzone, ma che volete, se non conoscessi i maiden di prima avrei dato qualche stella in più a tutto l'album.

 

Una bella scossa me la da la discreta "Ghost of The Navigator", distesa in qualche azzeccato cambio di tempo e nella classica filosofia "Strofa-Ritornello-Interludio-Solo". Colpisce bene.

"Brave New World" secondo me è una delle tracce vincenti del disco, in premessa poco fresca, ma comunque bella nella sua eccelsa ambientazione che richiama il tema dell'album. Bello il fraseggio, l'interludio richiama un po' i vecchi Maiden e la prestazione vocale è di tutto rispetto.

La passionale "Blood Brothers" ha uno schema originale e autentico, ma si inceppa sul riffing, bambinesco e sviluppato maluccio.

Dopo l'inutile "The Mercenary", arriva la bella "Dream of Mirrors", angosciante nel tema del testo ma musicalmente ineccepibile, tra fraseggi acustici, elettrici e un orecchiabile linea musicale che si appesantisce col passare dei minuti di canzone.

In crescendo arriva la cazzuta "The Fallen Angel", seguita dalla bella e "desertica" "The Nomad", altre canzoni che di nuovo non hanno proprio nulla.

La linea del concept album viene seguita da "Out Of The Silent Planet", ovattata (ed egregia) semiballad, come sempre forte a tratti, da tradizione Maideniana.

"The Thin Line Between Love and Hate" la vedo bene come b-side da dimenticare in un singolo di seconda presa, non perché sia una brutta canzone, anzi, solo perché in un album del genere non ci sta.

In sostanza un buon album, molto raffinato rispetto al petrolio in cui si navigava negli eighties, forse segno di commercializzazione al rock rarefatto che ci appioppano ogni giorno, forse un segno di maturazione musicale non da poco. Coraggioso, anche se poco originale, è forse l'unico album non per fan, che forse lo detesteranno per le poche novità, bensì per novelli in cerca di esperienze, che forse lo ameranno per ovvi motivi.
3/5 portato bene.

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