Una quindicina di anni fa stavo vivendo il mio periodo più intensamente metallaro.

Avrò avuto 13-14 anni e, lasciatomi da poco alle spalle la pubertà e la sua grande voglia di scoperte, mi affacciavo fiducioso all'adolescenza e alla sua grande voglia di scopare. A quei tempi, la mia più grande passione, unitamente ad una mia compagna delle medie particolarmente popputa a cui dedicavo tutte le mie energie nella solitudine della mia cameretta, era la musica Medal.

Di musica, a casa mia, se ne era sempre ascoltata pochina: mio padre lavorava in officina 10-12 ore al giorno e, quando tornava a casa alla sera, il massimo che aveva voglia di sentire era Paolo Valenti che presentava 90° minuto. Quand'ero piccino, poi, mia sorella c'andava giù di brutto con i vari New Kids On The Block, Bros, Nick Kamen e compagnia briscola, ma visto che non facevano troppo casino, in casa tutti la rispettavano. Io, invece, ascoltavo il Medal dalla mattina alla sera, pure in motorino col walkman (che in pratica c'era solo da sperare di beccare parecchi semafori rossi, altrimenti non si sentiva un cazzo..) e tutti mi prendevano per matto.

Tra le cose più sceme che ho fatto in nome della musica Medal, c'è stata quella volta che, insieme ad altri quattro Medal appassionati, sono andato in un posto sperdutissimo nel cremonese dove, ci era stato detto, si potevano trovare dei dischi fichissimi a poche migliaia di lire. Una volta arrivati, abbiamo scoperto che si trattava di una specie di cartoleria gestita da una simpatica signora, il cui figlio era stato per lungo tempo un vero appassionato di Medal, ma che ormai aveva messo su famiglia e voleva liberare il garage.. A questa notizia, noi veri amanti del Medal ci siamo rattristati profondamente: sapere che il sacro fuoco aveva abbandonato l'Heart Of Steel di un True Brother era davvero molto doloroso. Così, ci siamo inginocchiati al centro della cartoleria e, dopo aver acquistato una scatola di matite colorate, abbiamo tracciato per terra delle rune e abbiamo pregato Odino affinché colmasse i nostri cuori di sete di vendetta. Dopo aver rimesso tutti in ordine, ci siamo messi a spulciare fra i dischi e lì, tra i vari Giudas Prist, Medal Ciorc e Sleier, ci siamo imbattuti in questo "Cross Eyed Mary" degli Airon Meiden! Al momento siamo rimasti un po' perplessi: eravamo convinti di conoscere a memoria tutta la discografia di Murray e soci (ingenui..), ma di questo non avevamo mai sentito parlare! Alla fine, inutile dirlo, me lo sono cuccato io, ed eccoci arrivati all'oggetto di questa recensione.

Iniziamo subito col dire che sto "Cross Eyed Mary" è un bootleg assemblato (ufficialmente in sole 1.500 copie.. see, come no..) da un'etichetta ai tempi particolarmente attiva in questo genere di produzioni: la Alternative Recording Company. La track list si presenta, perlomeno sulla carta, tutto sommato ghiotta. Le prime sei tracce ("Phantoms Of The Opera", "Innocent Exile", "Drifter", "Sanctuary", "Prowler", "Running Free" e "Remember Tomorrow"), vengono, infatti, ufficialmente fatte risalire ad un concerto tenutosi il 20 aprile 1981 in quel di Saarbrucken. Particolarità di queste canzoni è la presenza, dietro al microfono, del ciucatone Paul DiAnno, il quale, va detto, offre una prestazione davvero molto buona non solo dal punto di vista tecnico, ma anche sotto il profilo del puro intrattenimento. In generale, poi, è tutta la band a girare ottimamente: i brani vengono, infatti, proposti ad una velocità leggermente superiore rispetto alle registrazioni ufficiali (persino "Remember Tomorrow"!) e con piccole variazioni di arrangiamento, eppure la resa e l'esecuzione sono davvero notevoli.

Anche un ascolto per così dire "distratto", però, fa sorgere qualche dubbio circa la reale provenienza di queste prime tracce: i volumi e la qualità della registrazione sono piuttosto altalenanti e si ha quasi la sensazione che la quantità di pubblico vari tra una canzone e l'altra (tutti in massa a far pipì durante "Drifter"?!). Addirittura "Prowler" (per la cronaca tra le mie 5 Iron songs preferite di sempre! Oh yeah!), non è registrata dal vivo, ma riproposta così com'è su disco! ..ma cos'è sto casino?!?

La risposta ci viene dal World Wide Web, il quale ci segnala che.. beh.. tutta questa prima parte del bootleg è un pacco! Gli Iron non hanno mai fatto un concerto a Saarbrucken. Anzi, con buona probabilità, non hanno mai fatto un concerto il 20 aprile 1981! Giusto il giorno successivo, infatti, la band sarebbe stata impegnata in un concerto a Tolosa e, visti i mezzi a disposizione per l'epoca, una loro partecipazione ad un festival in una località così fuori mano appare piuttosto inverosimile. Molto probabilmente, insomma, si tratta di un collage di B-sides raccattate in giro per la discografia della band!

Continuando con la tracklist, e sorvolando sulla cover di "I've Got The Fire" dei Montrose (buona di per sé, ma sfigurata da una registrazione imbarazzante..), si giunge alla "chicca" del pacchetto: la cover di "Cross Eyed Mary" dei Jethro Tull! E qui devo ammettere le mie colpe.. Al tempo dell'acquisto di questo disco, ero talmente ignorante da pensare che "Jethro Tull" fosse il nome per esteso dei "Tool".. Insomma, credevo che questa fosse una canzone originale di Harris e soci! Non vi dico quanto mi sono sentito stronzo quando, qualche anno più tardi, mi hanno passato "Aqualung"... Tornando al disco recensito: la cover è, a mio avviso, dignitosa, ma non eccelsa. Strumentalmente è una discreta rivisitazione del classico tulliano (con qualche sollazzo bassistico di Harris, un uso più massiccio delle chitarre e, ovviamente, niente flauto), ma la prestazione di Dickinson è quasi irritante! Solita interpretazione sofferta, intensa e bla bla bla.. ma mamma mia quanto urla! Finchè si tratta di cantare le strofe lo si sopporta, ma nel finale pare davvero che il buon Anderson gli stia usando lo scroto come custodia del piffero.

A chiusura dell'album troviamo, infine, altri cinque brani (l'immancabile "The Trooper", "Revelations", "Flight Of Icarus", "22 Acacia Avenue" e "The Number Of The Beast"), verosimilmente registrati con un microfono della Fisher Price da qualche tecnico del suono con l'otite, rinchiuso dai colleghi in un cesso chimico, durante un concerto (credo realmente) tenutosi a Dortmund, il 18 dicembre 1983. Che dire: con le "sue" canzoni Dicky ci fa senz'altro più bella figura, l'esecuzione della band è - tanto per cambiare - esemplare e il pubblico sembra proprio spassarsela ad ogni "Sing For Me Dortmund!..SIIIING FOR MEEEE DORRRRTTMMUUUNNDDD!!!".

Da ultimo, tengo a sottolineare un ulteriore aspetto del qui recensito bootleg: sinceramente mi ero completamente dimenticato di averlo! L'ho ritrovato in un cassettone della mia cameretta qualche mese fa, mentre mettevo in ordine, e c'ho messo davvero parecchio a togliere tutta la polvere che vi si era accumulata. E ciò, ripensando al casino che ho fatto per accaparrarmelo, dovrebbe farci riflettere sulla volubilità dell'animo umano.

Carico i commenti... con calma