Rock in Rio. Solo questo nome roboante piace e fa pensare ad una immensa affluenza di pubblico, al suo boato ed all'adrenalina di chi è sul palco e di chi è sotto. E infatti i fans brasiliani sono ben 150 mila (sarebbero dovuti essere 250 mila, ma il numero è stato ridotto per "ragioni di ordine pubblico", dato che i metallari brasiliani non hanno una fama proprio da angioletti).
Dopo la trionfale apparizione nell'85, gli Irons ritornano in gran stile, con uno show storico, immenso, con scenografie gigantesche e suggestive. I boys non sono affiatati come sedici anni prima, ma poco si nota e poco importa. Il fatto che fosse l'ultimo show del trionfale "Brave New World Tour" avrebbe potuto forse penalizzare il live, dato che i sei erano un po' stanchi, ma la stanchezza non si nota affatto. L'atmosfera è carica di tensione positiva, e lo show riesce benissimo, senza intoppi, come viene anche documentato nel DVD.

L'intro (presa dal film "The First Knight", con Richard Gere e Sean Connery) è drammatica e carica l'atmosfera fino ad esplodere in "The Wicker Man", sicuramente l'inizio più riuscito degli ultimi tour (senza contare l'Ed Hunter Tour, che cominciava con la mitica "Aces High"), con Dickinson gongolante davanti alla sterminata audience che riesce a coinvolgere subito il pubblico brasiliano. Sul palco il primo ad uscire è il bentornato Adrina, che fa espodere lo stadio con le prime note della canzone, poi arrivano tutti gli altri, correndo, come al solito, con la consueta dose di grinta e voglia di suonare. L'impatto è di effetto quasi unico, reso molto bene dall'audio (che poi però avrà imbarazzanti lacune, ma lo vedremo poi). Le successive "Ghost of the Navigator" e "Brave New World" ci portano ad un'atmosfera quasi più "rilassata", con un climax discendente. Suonate piuttosto bene, sono però forse un po' scontate e lasciano un po' l'amaro in bocca perchè si capisce che la scaletta sarà un po' troppo convenzionale per essere un concerto di questa importanza.

Dickinson si sta comportando benino per adesso, senza però le belle introduzioni ai brani che faceva negli '80, ma fa letteralmente lievitare Rio quando introduce il pezzo successivo: "Something old? Something new? Something from our Jurassic period? WRATHCHILD!!!". L'apoteosi. Il primo classico della serata è suonato da Dio, senza sbavature, potente come non mai, la migliore versione live rilasciata. Nella seguente "2 Minutes To Midnight"  viene introdotta così da Bruce: "Mister Janick Gers' on the stereo", con Gers che suona le prime note che fanno impazzire Rio e si sentono finalmente i primi leggendari "Scream for me Brazil" di Dickinson. I ragazzi ci fanno capire che divertimento è appena cominciato. "Blood Brothers", dedicata a tutti coloro che supportano i Maiden, piace, ma lascia l'impressione di non essere un pezzo proprio indispensabile. La successiva "Sign of the Cross" è splendida, con Bruce che migliora la prestazione che avrebbe potuto offrire Blaze Bayley e l'inserimento di Smith come terza chitarra migliora di brutto la resa finale.
Poi uno dei grandi misteri della storia di questa band è perchè si ostinino a suonare "The Mercenary", il pezzo forse peggiore dell'ultimo disco. Sorvoliamo. Ma si torna subito su grandi livelli: "Into the valley of death rode the six hundred? cannon to right of them, cannon to left of them, volley'd and thunder'd? THE TROOPER!". Rio esplode. "Dream of Mirrors", superflua ma graziosa, non lascia molto il segno, ma la versione di "The Clansman" che la segue è da antologia, chitarre affiatate, pubblico che canta a squarciagola, Bruce ancora una volta meglio di Blaze, Nicko e Bruce che si divertono da matti ballando (Nicko nell'intro della canzone, quando è Harris a suonare l'acustica e Bruce verso la fine, con tutta l'aria di divertirsi un sacco).

Si comincia con il gran finale, tutto di classicissimi; il primo è "The Evil That Men Do", poi "Fear of the Dark" fa godere Rio con un pogo incredibile, anche se è suonata molto lentamente rispetto all'originale, ma non c'è problema, è bellissima lo stesso. "Iron Maiden" e "The Number Of The Beast" presentano un problema: in certi momenti le chitarre si confondono senza miscelarsi a dovere, con un suono confuso e piuttosto bruttino. Il sound è appena sufficiente. "Hallowed Be Thy Name" è come al solito la più bella di tutte, anche se Janick Gers dovrebbe fare meno il pazzo con la chitarra durante l'assolo (il secondo). "Sanctuary" è grandiosa, forse un po' rallentata, ma bellissima, con Bruce che a metà della canzone, quando come secondo copione tutto si ferma fa urlare prima la metà sinistra dell'audience e poi la destra, poi ancora la sinistra e via dicendo fino al ritorno in scena delle chitarre. Si chiude con foto e saluti (non si sente nel CD quella parte, solo nel DVD) e poi la sopresina finale è "Run to the Hills" (messa in scaletta solo nella parte finale del tour), cantata bene come non mai, una versione da antologia, mitica e degna conclusione di un grande show.

I musicisti si comportano bene (escluso a volte quel pazzo di Janick), e piacciono per la grinta e la solidità messe in mostra. Bruce non ha forse la voce degli anni d'oro, ma è bravissimo come al solito (usa troppo forse la parola "fuck", ma non è un difetto tremendo). Le uniche pecche vere e proprie sono l'audio  (come prima detto), il fatto che manchino pezzi come "Wasted Years" o "Bring Your Daughter", che sarebbero state benissimo al posto di "The Mercenary" e il fatto che il disco, registrato il 19 gennaio 2001, sia uscito nei negozi un anno dopo. Ma è valsa la pena aspettare.

Ben tornato Adrian, ben tornato Bruce. Alla prossima.

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