Il periodo dell'anno è quello giusto: pioggia, freddo, serate uggiose. Insomma, il classico clima deprimente e livido che ti spinge a cercare qualcosa di doom. Gli svedesi Isole sono il prototipo perfetto di coloro che possono dare un senso in musica a questo periodo dell'anno, tanto più che sul finire del 2014 hanno sputato fuori un nuovo disco, il sesto della loro carriera ormai ultra decennale, tale "The Calm Hunter".

I quattro di Gavle hanno costruito la loro storia nel solco di un doom classico, parente stretto dello stile dei "cugini" Candlemass. Ma a ben vedere se il gruppo di Leif Edling ha sempre strizzato l'occhio ad un pathos epico di respiro "nordico", gli Isole hanno puntato fin dall'esordio "Forevermore" sull'aspetto più "decadente" del genere, quello più attento alle pulsioni emozionali. Un doom più criptico, lacerante, ma decisamente distante dalle atmosfere funeree e sepolcrali di nomi come Shape Of Despair o i primi My Dying Bride.

In un lavoro di questo tipo non si cerca certo l'originalità, elemento sempre più raro nel calderone metallico. Gli Isole si cullano negli elementi classici del genere, puntando su una formula collaudata da anni. Anche il growl che faceva capolino più volte nel precedente "Born From Shadows" (2011) torna ad assopirsi, salvo qualche fugace lampo che non lascia traccia alcuna. Le chitarre sono rimaste quelle del duo composto da Olsson e Daniel Bryntse, con quest'ultimo in veste anche di vocalist. Componente vocale fondamentale per gli Isole e Bryntse merita una menzione per la capacità di esprimere al meglio le atmosfere di un genere ambiguo, che spesso affida tanto, se non tutto, all'approccio vocale. Il timbro di Bryntse è riconoscibile e perfettamente cesellato nell'architettura sonora degli svedesi. La titletrack, oltre ad aprire le danze, ci mostra subito quelle che sono le coordinate stilistiche della band, con riff di chiara scuola scandinava, atmosfera opprimente e l'apertura simil apocalittica della parte centrale, reminiscenza opethiana. Otto minuti in cui abbiamo tutto questo, oltre alla ridondanza di alcuni passaggi. Un singolo pezzo che già chiarisce un po' tutto quello che sarà l'andamento dell'intero disco, tra elementi positivi e negativi.

Difficile aspettarsi altro dall'ultimo lavoro firmato Isole. C'è tutto quello che può soddisfare un amante del doom più classico e meno intransigente, ed in questo senso non si può non citare "Dead to me", che porta in matrimonio potenza e melodia, con una parte solistica che richiama alla mente di nuovo i connazionali Opeth di "Damnation", senza disdegnare orecchiabilità in un refrain decisamente azzeccato. Forse l'highlight del disco, il pezzo che più di tutti esemplifica l'idea musicale del combo scandinavo.

"The Calm Hunter" è un vagito di "sostanza". Uno di quei lavori che certificano la bontà di un progetto musicale. Niente che non si possa ritrovare anche in altri nomi del panorama metallico, decisamente distante dal loro capolavoro "Bliss Of Solitude". Senza voler stravolgere il loro sound, gli Isole hanno tentato un approccio maggiormente "melodic", non perdendo di vista le loro origini, mescolando doom d'annata, fascinazioni "gothic" e soluzioni "epic oriented". Un disco che difficilmente andrà oltre la ristretta cerchia degli amanti del genere, ma che sottolinea l'attitudine e la costanza di una band che ha saputo ritagliarsi un alone positivo all'interno di un genere ormai prossimo alla saturazione.

1. "The Calm Hunter" (8:23)
2. "Dead To Me (The Destroyer Part I)" (5:44)
3. "Into Oblivion" (7:15)
4. "The Eye Of Light" (7:45)
5. "Perdition" (6:56)
6. "Alone In Silence" (7:02)
7. "My Regret (The Destroyer Part II)" (7:57)

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