Pressoché impossibile tentare una definizione appropriata del titolare di questo album. "Padrino della scena di Seattle"...? Si, se non fosse che l'espressione "scena di Seattle" non significa una mazza, e va bene solo per certe enciclopedie musicali (che, lo dico subito, non ho consultato al momento di scrivere questa rece). "Precursore del Grunge..."? Ma se il Grunge è l'etichetta che mette assieme - per dire - Melvins e Pearl Jam, che senso ha ricorrere ancora a certe insignificanti etichette? E poi, "precursore" di cosa...? Giuro che il diretto interessato si metterebbe a ridere sentendo una cosa del genere: perché tutto quello che ha fatto, in vita sua, lo ha fatto nell'assoluta spontaneità, per dar voce a sensazioni pure, per far della musica uno "sfogo"; non certo per atteggiarsi a "teoreta" di una nuova filosofia musicale, non certo per stilare il "manifesto" di quello che il nuovo Rock avrebbe o non avrebbe dovuto essere. "Padre riconosciuto di tutta l'estetica noise dei Novanta..."? Io so solo che un certo Michael Giacondino, laureato in ingegneria alla University of Washington e musicista dilettante di Seattle, si ricavò - da quello che era un semplice scantinato - un grezzissimo studio d'incisione a quattro piste, e lì cominciò a suonare e a FAR SUONARE, in veste di produttore: band neonate, alcune rimaste sconosciute, altre partite da quella sala e arrivate a conquistare il mondo. Si, credo sappiate di CHI sto parlando.

Impossibile tentarne una definizione, eppure qualcosa va detto, di quest'uomo; non solo perché sul qui presente sito - a fronte delle 12 recensioni di "Nevermind" - non ce n'è manco una di un suo disco, né degli Skin Yard, ma anche perché parliamo di un Grande. Si, questa è una buona definizione: quella che spetta a chi ha fatto tanto partendo da poco, pochissimo anzi. Poco in termini economici: si, tempo dopo si dirà che i suoi "esperimenti" hanno fatto scuola nel mondo del "low-budget", ma in quei primissimi giorni registrare in un certo modo era questione di necessità, e non di moda. Poco in termini tecnici, anche: chitarrista modesto, Endino, non certo un virtuoso né un asso dello strumento. Ma a lui non serviva esserlo. E non serve in generale, quando si ha certa capacità VISIONARIA.

Questo suo debutto solista, stampato in edizione limitata da 70 copie (!) nella primavera del '90, è uno dei dischi fondamentali dell'ultimo ventennio, che piaccia o no. Fondamentale, senza volerlo essere (naturalmente). Fondamentale, senza essere l'esito di un progetto coerente, in pieno accordo allo stile del personaggio: schizzi d'inventiva, nulla di più, frammentarie impressioni di 10 anni in studio, per un capolavoro di musica artigianale con pochi eguali nella storia. Una sola persona che si diverte a suonare tutti gli strumenti e poi a sovrapporli (qualche intervento del collega Greg Gilmore alla batteria e al basso, ma poca roba). Mettendo nel lettore il CD di "Angles of Attack" si entra nel piccolo ma infinito mondo di Jack; il quale, essendo uno che ama parlare della sua musica, rivela pure i retroscena dell'operazione: e così scopriamo, ad esempio, che "Create What You Fear" fu ispirata da "Jailbait" dei Motorhead, che gli intermezzi vagamente "free" disseminati qua e là per il disco li registrò ricorrendo a percussioni improvvisate (cioè, oggetti domestici), che la lunga "Bold Leaps Of Unreason" venne fuori da un libero "copia e incolla" di parti registrate separatamente. Ma per le emozioni che l'album sa trasmettere no, per quelle non c'è bisogno delle "note dell'autore": perché mi rimane complicato mettere in parole il garage bestiale di "Naive Bid", l'Hard Blues allucinato di "Find The Key", la quasi Trance-Ambient di "Time Is Running Out", e la voce di Endino incomprensibile, persa fra il rumore di "Big Seth". Ma il vertice è "Sideways Savannah": ecco svelato il lato etnico-sperimentale dell'Endino compositore, per 6 magistrali minuti di incastri basso-percussioni (ritmica quasi Mambo) e linee chitarristiche a disegnare uno stranissimo esempio di "psichedelia caraibica".

Album non facile da reperire, ma imprescindibile. 

       

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