“Molte volte, nella mia vita, ho provato la straordinaria sensazione che il mio “io” si sdoppiasse, che altri esseri vivessero o fossero vissuti in lui, in altre epoche o in altri luoghi”

Che dire, da dove iniziare se non dalla fine? Perché ogni fine ha un nuovo inizio, ogni morte genera una nuova vita, diversa da quella precedente. Pensate se riuscissimo a ricordare tutto il nostro passato, e non intendo la nostra infanzia o i nostri primi passi, ma le nostre vite passate, i nostri “io” che ci hanno preceduto secoli e secoli fa. Cose da pazzi direte, e chi ci crede alla reincarnazione? Ma se invece tutto ciò fosse possibile pensate a quale giovamento potremmo trovare nel ricordare che siamo stati eroi di gloriosi spedizioni, oppure a quale odio nel ripensare ai tempi in cui siamo stati schiavi di nobili patrizi. Inizieremo così a dare un senso diverso alla nostra vita, non sarà più unica, ma universale, allargandosi in un oceano di tempo, e così potremmo dare maggiore o minore peso ad eventi belli o brutti che accadono nella nostra vita. Questo è quello che deve aver pensato Darrell Standing, protagonista dell’ultimo romanzo di Jack London, “Il vagabondo delle stelle”. Ex professore, ora detenuto nel carcere di San Quintin per omicidio e ormai in procinto di essere condannato a morte, Darrell nelle lunghe sedute di camicia di forza a cui viene sottoposto impara a trasmigrare dal suo corpo e a viaggiare indietro nei secoli, tra le sue vite passate. Ricorda di essere stato un intimo amico di Pilato, un sacerdote del Nilo della prima epoca cristiana, un capo di una carovana di pionieri americani, un naufrago in un’isola deserta e molto altro. Darrell nelle ultime pagine del romanzo si prepara ad andare incontro al suo destino, critica fortemente la pena di morte, “una vergogna per la società che la tollera”, e pensa a chi potrebbe essere domani, nella sua nuova vita, augurandosi di occupare il corpo di un modesto fattore, oppure meglio ancora un’esistenza “vegetativa” come quella della guardia di servizio, un essere primitivo, di scarsissima intelligenza, che non ha mai subito i tormenti dei problemi dello spirito.

Questa recensione è un invito a recuperare questo romanzo, ambizioso e lontano dalle opere più note di London, che si fonda su un continuo contrasto tra la durezza della condizione carceraria subita da corpo e la leggerezza dell’anima che vola tra le vite passate, un romanzo che solo un vagabondo come London avrebbe potuto scrivere.

Carico i commenti... con calma