Lasciare unicamente al proprio strumento la comunicazione con l'ascoltatore non è mai cosa facile. Tuttavia, quando ci si trova di fronte ad uno dei pochi "eredi" più legittimi dei chitarristi cosiddetti "primitivisti" (John Fahey e Robbie Basho in primis), non c'è da meravigliarsi se tale comunicazione musicale, col solo ausilio dell'ormai quasi inflazionato strumento a corde, riesce con successo.

È giusto, anzitutto, tracciare un veloce profilo dell'artista per chi ne sentisse parlare per la prima volta: James Blackshaw, inglese, poco più che trentenne e già con svariate esperienze discografiche alle spalle, è un maestro del fingerstyle sulla chitarra a 12 corde. Le sue influenze più dirette, oltre ai già citati Fahey e Basho, attraversano gran parte del folk chitarristico americano e non, soffermandosi in particolare su Leo Kottke, pioniere della 12 corde.

Quest'ultimo disco segna però una svolta rispetto ai lavori precedenti dell'artista (tra questi il degno di nota "The Cloud of Unknowing" del 2007): Blackshaw decide infatti di abbandonare la sua fida 12 corde per esplorare il territorio della chitarra classica, ed approfondire quello del pianoforte. Il risultato è una piacevole oscillazione tra echi spagnoleggianti e soffuso romanticismo, senza mai tradire l'anima folk a stelle e strisce di matrice tipicamente faheyana.

L'album si apre con la title track, che deve il suo nome ad un racconto della scrittrice di fantascienza Alice Sheldon; 8 minuti di fingerpicking a tratti sognante e a tratti quasi inquietante, con qualche spruzzo di piano qui e lì, introducono l'ascoltatore ad un viaggio musicale dai toni intimisti. Tale viaggio si concretizza in "Her Smoke Rose Up Forever", nella quale ciò che dal titolo può apparire anche come una scena di vita quotidiana (che sia il fumo di una sigaretta?) viene dipinto con un arpeggio già più veloce, come a voler rappresentare il fumo che si libra con eleganza nell'aria.

Sulla stessa delicata scia si susseguono "A Momentary Taste of Being", un'interessante quanto graziosa introspezione bucolica, e "We Who Stole the Dream", senz'altro la canzone dell'album che più merita la chitarra classica. Decisamente meno convincenti, ma pur sempre gradevoli, sono i due pezzi pianistici del disco: "And I Have Come Upon This Place by Lost Ways" è un'amara ballata che vede il contributo vocale di Geneviéve Bealieu dei Menace Ruine, mentre "The Snows Are Melted, The Snows Are Gone" è un valzer un po' anonimo che riprende il sound tranquillo caratteristico dell'album.

In conclusione, Blackshaw dimostra ancora una volta il suo eccezionale talento compositivo, che decide di estendere anche ad altri strumenti, oltre che la 12 corde. Tale sperimentazione, se per certi versi è da considerarsi felice (i brani alla chitarra classica sono a dir poco ammirevoli), per altri diminuisce lievemente la resa complessiva del prodotto, che acquista in prolissità ma, ciononostante, rimane di pregevole fattura.

Elenco e tracce

01   Love Is The Plan, The Plan Is Death (08:02)

02   Her Smoke Rose Up Forever (07:07)

03   And I Have Come Upon This Place By Lost Ways (05:08)

04   A Momentary Taste Of Being (05:25)

05   We Who Stole The Dream (07:18)

06   The Snows Are Melted, The Snows Are Gone (05:49)

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