C’è un po’ di tutto in questo nuovo capitolo della saga “Avatar” di James Cameron, eppure, alla fine la sensazione è quella di una magniloquente pochezza, una scarsità di idee condite con i più sbalorditivi effetti speciali. Il film dura troppo, tre ore e mezza per questa vicenda sono un’enormità, perché i fatti salienti sono tre o quattro, mentre il resto del minutaggio è utilizzato per mostrare gli scenari, le battaglie e le esplorazioni con abbondanza di dettagli e dispiegamento massivo di computer grafica.

Avatar 3 non è un disastro, si può guardare. Ciò che mi fa specie, tuttavia, è la poca cura che viene data a certi aspetti della scrittura in questi contesti hollywoodiani, dove i budget sono immensi e le persone che ci lavorano innumerevoli. Ma è possibile che nessuno si sia accorto che la storia fatica un po’ a catturare lo spettatore? Che la fazione dei “buoni” con Jake Sully e famiglia non sembra avere un reale obiettivo e dunque la vicenda ruota tutta attorno alle iniziative dei “cattivi” per raggiungere i loro scopi? Ecco, questo è uno dei principali difetti del film.

In generale, sembra una storia costruita man mano, senza un’idea organica alla base, una visione complessiva forte. Tutto si gioca su singole iniziative e reazioni, attacchi e fughe, catture e liberazioni, battaglie e controffensive. La grammatica narrativa al minimo, manca un respiro più ampio. Qualcosa di buono viene dai personaggi: la sensitiva che si connette con la divinità, il ragazzo umano che vuole stare con gli alieni, la tribù di Na’vi dedita alla violenza e al fuoco, che si lascia cooptare dall’invasore umano grazie alle armi. Ma restano alcuni grandi dubbi: il protagonista e il suo rivale difettano di profondità, le alte gerarchie militari sono caricaturali nel loro pragmatismo disumano.

Metafore facili, topoi ben presenti nell’immaginario, quasi consunti ormai. Tutto ben fatto e registicamente curato, si badi bene, con un ritmo ottimale nella prima metà. Nella seconda invece la sensazione è quella di una lungaggine immotivata, con troppe sequenze d’azione, pur riuscite, ma che affastellandosi così una sull’altra diventano ridondanti. Anche perché, ripeto, le idee sono sempre più o meno aderenti agli schemi consolidati della favola fantascientifica hollywoodiana.

Bisogna attendere la fine per un paio di trovate più interessanti, non dico originali, perché trent’anni fa Miyazaki in “Mononoke” le aveva fatte molto meglio, però se non altro più grintose ed emozionanti rispetto al mare magnum precedente.

Resta fortissima la sensazione che questo film nasca da poche idee prettamente estetiche, alle quali un regista capace e degli autori dignitosi abbiano costruito un corollario di storie intorno, che però non sembrano mai essere il vero cuore della narrazione, ma solo un orpello per giustificare il tour de force registico-estetico-tecnico. Sul quale non si può dire proprio nulla, o forse sì.

C’era un mondo immenso da poter inventare, ma tutto sommato le creature che ci vengono proposte sono emuli di quelle che conosciamo già, dalle balene ai polipi, a questa sorta di pterodattili. Voglio dire che, anche qui, visto il dispiegamento di risorse, si poteva inventare qualcosa di meglio.

Avatar 3 non è peggiore dei precedenti, per certi versi smorza i toni da favoletta predeterminata, ma non riesce ancora del tutto a imporsi con una narrazione autentica e sentita, restando vittima della sua stessa eccezionale portata tecnica ed estetica.

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