Comprendere un'alterità. Abbracciarla. Questo dovrebbe essere uno degli obiettivi o se non altro un passaggio chiave del percorso di chi decide di addentrarsi in una narrazione. Inizio a leggere per capire un punto di vista, guardo un film per entrare nello sguardo del regista. L'arte di raccontare dovrebbe andare in questa direzione, che prevede uno sforzo. La fatica di leggere un testo, che sia letterario o filmico. Se non c'è questo, lo sforzo conoscitivo e dunque l'apporto contenutistico di un'opera si riduce a zero.

Avatar rappresenta in questo senso un approdo abbastanza definitivo in questa forma di degenerazione di Hollywood. Al massimo sforzo tecnico-tecnologico della produzione si accompagna il minimo apporto di contenuti che non siano solamente esteriori, come patine che rivestono tutto quanto di colori diversi e sfavillanti pensando di rinnovare un quid che è vetusto e stantio. Ogni cosa di questo film è vecchia, banale, sedimentata in decenni di mestiere filmico. Funzioni narrative, schemi precostituiti che si comprendono e quindi si esauriscono dopo due istanti, sui quali si riversa una colata di colori e luci, un arcobaleno in computer grafica che può sedurre lo sguardo per una mezz'ora, ma infine lascia riemergere lo scheletro narrativo che è prevedibile e svilente, per usare degli eufemismi.

Chiariamoci. Il film è solido, senza clamorosi scivoloni. Un prodotto efficace. Ma è questo che mi indigna: fare passare come buono un lavoro che vive solo e soltanto di puri stereotipi. L'unica, minuscola incertezza è data dallo scoprire come verranno giustapposte le tessere, quali cliché arriveranno prima e quali poi. Ma non esiste alcun dubbio, non c'è il benché minimo fremito morale che tenti in qualche modo di lasciare qualcosa, un messaggio, un valore, un sentimento che non sia predigerito e quindi falso, vuoto.

È fast food narrativo, ma senza nemmeno il vantaggio di essere rapido. È un pasto luculliano lungo, lunghissimo, con la profondità di sapori che può avere un panino da Mc. La vicenda essenziale è poca cosa, ma ci vengono imposte ore di scenario, di giostra cinematografica priva di pensiero, un luna park visivo che può arrivare quasi a stancare. A cosa serve mostrare così tanto, che valore ha quell'armamentario visivo se asservito a una non-storia? Se non c'è una tensione morale in chi racconta, il cinema diventa ginnastica per gli occhi.

Bisogna fare un passo oltre, per capire meglio. I kolossal ci sono sempre stati, ma è cosa recente questa tendenza a riempirli di nulla. Nulla, vuoto pneumatico. Sono così perché riflettono un'industria e quindi una società satura, appiattita, che ha perso il suo dinamismo culturale quando si tratta di dover investire del denaro. Via col vento, Ben Hur, Titanic sono fantascienza rispetto a questo. Avevano per lo meno delle storie da raccontare. Qui siamo invece giunti a una fase in cui chi ha i soldi non ha più le idee, non ha voglia di rischiare o ascoltare chi le ha, si preoccupa solo di dare accenni di trama che siano quanto più rassicuranti, per poi far ingollare ai pubblico tutta la sua prosopopea inutile e pagata a prezzo pieno, tra mostri marini, balene aliene, e bla bla bla. Perfino una sorta di affondamento del Titanic sul pianeta Pandora.

Forse sono troppo duro. Il film non è osceno, lo ripeto. Ma viene grande rabbia se si pensa che questa roba è sostanzialmente il prodotto di punta di tutta l'annata hollywoodiana. Come siamo giunti a tanta pochezza?

Il capitalismo per sua costituzione dovrebbe assorbire le eccellenze che arrivano da fuori, per rinnovarsi. Anche chi lo contesta, anche le devianze più esotiche, dovrebbero essere benzina per riaccendere il motore del mercato. Tutto diventa merce e si vende, spiega Fisher. Ma ormai il sistema, in ambito filmico, è così stanco e involuto che non funziona più, a questi livelli di spesa, se non ripetendo degli schemi standard più che banali. È sclerotizzato e punta solo alla sopravvivenza.

O forse è quello che pensano quei tre o quattro che decidono sostanzialmente come investire 4-500 milioni a questo giro. Vogliono essere certi di rientrare della spesa e fare almeno un miliardo pulito. Chi glielo fa fare di rischiare? A ben vedere, il vero Avatar è quello che indossa il film nel fingersi nuovo, quando invece racconta sempre la stessa storia e gli stessi orribili personaggi yankee. I figli adolescenti, i padri severi, i ricatti, gli scontri all'arma bianca. Tutto già tristemente visto.

E allora i colonizzatori "venuti dalle stelle" sono i produttori della 20th Century Fox, come anche quelli della Disney, di Netflix etc. Loro vogliono desertificate il mondo di Pandora che è il sogno chiamato cinema. Bruciare l'arte e stendere una colata di cemento, prosciugare le risorse e infine passare al pianeta successivo.

Dobbiamo resistere.

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