Che senso ha raccontare la vicenda che ha portato alla realizzazione del peggior film di sempre? O meglio, del “Quarto Potere dei film brutti”? Nessuno, o forse tanti. Non ha un significato immediato, soprattutto a uno sguardo superficiale. Ma nasconde in verità molteplici chiavi di lettura, che ne fanno un piccolo gioiellino.

C'è il trionfo raggiunto attraverso il fallimento, c'è la pervicacia nel voler dire qualcosa di autentico e nel fare un'impresa per e insieme a un amico, pur non avendo le capacità artistiche necessarie. C'è un uomo solo, senza un passato chiaro e con un presente altamente fragile, c'è il mondo del cinema hollywoodiano, inarrivabile, meschino, elitario, e ci sono due signori nessuno che non vogliono arrendersi, perché anche a James Dean avevano sbattuto la porta in faccia. C'è il processo di realizzazione di un film, deformato, scempiato e quindi restituito in absentia: mostrando la costruzione di un'opera artisticamente catastrofica, James Franco scrive un elogio degli incapaci ma tratteggia al tempo stesso la celebrazione dell'arte cinematografica vera, nella sua dimensione tecnica e logistica, oltre che in quella artistica e di talento.

È una vita inspiegabile quella di Tommy Wiseau, impossibile da classificare. Un'esistenza che l'uomo si rifiuta di raccontare, ma che poi mette tutta nel suo film, The Room. E la sua figura, che potrebbe sembrare puramente comica e grottesca, possiede una malinconica tragicità che si mescola al non sense, che si può stemperare solo nella ricerca di un amico vero. È matto Tommy, non ha tutte le rotelle a posto, ma per un amico è disposto a tutto, anche a spendere milioni di dollari per un film assurdo, con il quale riscattare e nobilitare tutti i fallimenti della sua vita, ma anche dare una possibilità di affermazione al compagno di avventura e unico amico.

E l'amico, Greg, si trova di fronte alla possibilità di tradirlo, di andare a fare una fiction con Bryan Cranston, ma comprende che l'amicizia di Tommy vale di più di una comparsata di pochi minuti come boscaiolo barbuto. C'è più dignità in questo nobile fallimento che nel successo algido e spersonalizzato di tanti prodotti hollywoodiani. E se le risate del pubblico alla premiere sembrano inizialmente rappresentare lo sberleffo definitivo, grazie all'aiuto dell'amico, Tommy riesce ad accettare quella forma obliqua di successo, contento di aver suscitato almeno una reazione nelle persone.

Il film di Franco, oltre a spiegare la vicenda, funziona come suggello definitivo di quel successo: il film peggiore mai fatto, frutto di nobili sentimenti e pura incompetenza, alla fine ha lasciato il segno. E un vero film hollywoodiano oggi ne sanziona la grandezza non convenzionale, la bruttezza memorabile. Essendo un vero tributo, gli attori hanno imitato in modo pedissequo le cadenze e la recitazione scadente degli attori improvvisati di The Room, in un divertente cortocircuito in cui le vere star vestono i panni di star fallite. Impressionante la somiglianza delle scene, come evidenziato dalle sequenze affiancate proposte dopo la fine del film.

James Franco riesce così a lanciare un messaggio di umanità, una celebrazione dei sentimenti veri e dei sogni irrealizzabili contro la logica – efficiente ma arida – dell'industria del cinema hollywoodiano. Elitaria, sfacciata, spietata, la "fabbrica dei sogni" lascia sul suo percorso trionfante una serie infinita di vinti, di sconfitti, che anelano a raggiungere lo status di superstar, come Tommy e Greg, ma nelle loro vicende fallimentari non fanno altro che amplificare l'aridità di quel mondo efficientissimo e algido. La critica arriva proprio da chi di quel mondo fa parte, James Franco, che riproponendo questa storia dimostra di aver capito quanto possa essere odiosa quella torre d'avorio, per chi la vede da fuori.

7/10

Carico i commenti... con calma