Quando il film "The end of the tour - Un viaggio con David Foster Wallace" uscì fugacemente nelle sale italiane (nel lontano 2016), non vi fu un adeguato riscontro da parte di pubblico e critica. Forse l'argomento poteva sembrare un po' relegato all'ambito particolare della narrativa moderna. Eppure il protagonista David Foster Wallace è stato un degno autore inserito nella grande letteratura non solo americana, ma direi internazionale e contemporanea. Un grande autore, quindi, ma anche un uomo dal carattere difficile, tanto era introverso, timido e insicuro. E proprio questa pellicola, realizzata da James Ponsoldt, ce lo consegna in una fase particolare della sua vicenda terrena, allorquando il suo opus magnum intitolato "Infinite Jest" viene dato alle stampe nel 1995 e incontra un grande interesse da parte di pubblico e critica statunitensi. Forse un successo che neppure David poteva immaginarsi, neanche fosse una rockstar.
E qui entra in scena l'altro personaggio, ovvero il giornalista David Lipski che, collaborando alla nota rivista "Rolling Stone", pensa bene che ci possano essere i presupposti per una succosa intervista da effettuare e successivamente pubblicare sulla suddetta rivista. Ricevuto l'assenso dalla direzione a procedere , Lipski si mette in contatto con Wallace che si dice disponibile a farsi intervistare durante la settimana finale del tour di presentazione del libro presso librerie e università statunitensi.
Tutto semplice a dirsi, ma questo lasso di tempo trascorso nei vasti spazi yankees, spostandosi un po' in auto, un po' in aereo è l'occasione per dispiegare un rapporto non sempre idilliaco fra i due personaggi. E i motivi per cui fra giornalista e scrittore non tutto fili liscio si compendiano in una spiegazione semplice: la comunicazione fra due persone ( in questo caso l'intervistato e l'intervistatore) non scorre sempre senza sobbalzi. Se il giornalista, per deontologia professionale, cerca di trovare una notizia (o scoop) ponendo anche domande scomode (facendo pure giustamente luce su certi segreti inconfessabili del potere), la persona intervistata può essere reticente. E se così è, può essere il caso a volte che l'intervistato preferisca restare vago ed evasivo, ma non per nascondere delle malefatte, ma per il semplice fatto che la timidezza lo induca a non essere troppo esplicito, trincerandosi dietro una certa laconicità (senza essere con ciò omertoso).
Forse Lipski, ai tempi di quella intervista, pensava di trovare in Wallace chissà quali segreti o retroscena incredibili. E certo, leggendo un romanzo monumentale come "Infinite Jest", si poteva pure pensare che tutta quella umanità caotica e schizzata che affolla le pagine del romanzo rifletta un po' lo stile di vita dell'autore. Ma Wallace, per quanto timido, non era poi così eccentrico o perlomeno non più di tanto (non era certo una viziosa rockstar come da stereotipo). Semmai già allora poteva avvertire l' inclinazione a crisi depressive (non per nulla si suiciderà nel 2008) e comunque ne era consapevole al punto da trovare nella creazione letteraria un buon antidoto, giusto per ovviare ad un senso di solitudine che lo tormentava. E in mancanza di meglio, era pure disposto a frequentare corsi di danza moderna in una sala parrocchiale prossima alla sua abitazione. Era sostanzialmente una persona che preferiva non esternare l'esistenza di certi suoi demoni interiori.
Niente, quindi, di incredibile più del normale e lo stesso giornalista Lipski, gentilmente ospitato nella semplice residenza di Wallace se ne rende conto (per quanto giunga al punto di curiosare anche nell'armadietto del bagno del romanziere, nell'illusione di rintracciare chissà cosa). Alla fine, pur registrando ore di chiacchierate con Wallace, l'intervista non sarà pubblicata ma, a distanza di 12 anni e dopo aver appreso del suicidio del suddetto, Lipski prenderà spunto per scrivere un libro dedicato a quegli strani giorni del tour e dal titolo "Altough of course you end up becoming yourself" e a cui il film di Ponsoldt si ispira.
Al di là dell'ottima interpretazione di Jason Segel e Jesse Eisenberg (nei panni rispettivamente di David Foster Wallace e David Lipski), l'opera getta luce su un uomo come Foster Wallace, il tipico ragazzone yankee di buon cuore e di grande stile letterario. A detta della critica, quanto da lui scritto è una rappresentazione illuminante sulle odierne caratteristiche della società contemporanea, sempre più persa ad inseguire le numerose fonti di evasione offerte dal web. Tutto per crogiolarsi nel divertimento fine a sé stesso, solo per evitare di riflettere.
E forse è bizzarro che,dopo aver visto "The end of the tour - Un viaggio con David Foster Wallace", troverò lo stimolo ad iniziare la lettura del suo capolavoro "Infinite Jest" di poco più di 1200 pagine. Può proprio capitare che sia il cinema a riconciliarmi con la lettura di un libro complesso.
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