Sono le quattro della mattina ed il mio stato confusionale dovuto ad alcol e stanchezza non so se è quello giusto per descrivere ciò a cui abbiamo assistito... ma questo è quello che passa il convento.

Partiamo dalla fredda contabilità. Quasi seicento chilometri per un'ora e dieci circa di spettacolo. Un amplificatore Fender da cui uscivano le note della Jaguar di Molina che per una mezzora buona di concerto ha fatto i capricci, gracchiando a più non posso, per il nervoso dissenso evidente di Jason e quello (mal)celato degli astanti.

Con questi presupposti, il resoconto della serata sembrerebbe largamente insufficiente... però (c'è sempre un però) all'uscita dall'Interzona il sapore che ho nella testa è di quelli buoni... di quelli che ti lascia in bocca un buon vino barricato o un ottimo rhum invecchiato al punto giusto. Non era l'amplificatore a dare problemi, bensì uno dei pedalini collegati a cascata fra loro, che una volta isolato gli permetteva di svolgere egregiamente il proprio dovere.

La musica...? Beh, sinceramente, un miscuglio ibrido delle sincopatie dei Bachi Da Pietra in splendida forma ed un insolito rumorismo sonico e teso del folletto dal Lago Erie, che alternava le sue melodie vocali alle strascicate litanie di Giambeppe Succi, con la batteria (rullante, timpano e ride...!!!) spazzolata e percossa da Bruno Dorella come filo conduttore... il tutto senza un attimo di pausa, quasi che le "canzoni" fra di loro si dovessero fondere in un unico splendido chiaroscuro di 70 minuti circa; una perfetta fusione di componenti all'apparenza inconciliabili fra loro, come appaiono inconciliabili la Coca Cola e il Pampero 11 anos presi singolarmente. "Sembrava krautrock" mi dice Fabio guardandomi appena il terzetto saluta il pubblico lasciando il palco in mezzo ad un caloroso e sentito applauso, maturato senza sfogo durante tutto lo show. "Vero" penso o forse dico io, sembrava proprio una di quelle folli miscele che nascevano in Baviera o fra Brema ed Amburgo nei primi anni settanta, quel gusto mitteleuropeo per l'ibrida sperimentazione ma con un anima latina morbida e sinuosa ed uno spirito anglosassone forte e malinconico a dare una lettura ancora più vorticosa allo spettacolo.

Sono le quattro e mezza ed è forse ora di andare a dormire, con la giusta consapevolezza che in altro momento e/o stato psico-fisico non saprei meglio esprimere tutto ciò, chiudendo con un ringraziamento a Jason Molina ed i Bachi Da Pietra per avermi regalato questa emozione.

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