L'opera consta di due cd: il primo di essi (My Round), magno cum gaudio, contiene l'intera edizione dei mitici "Château D'Isaster Tapes". Essi furono registrati nell'agosto 1972, successivamente al capolavoro "Thick As A Brick", nella tenuta francese di Château d'Hérouville, presso Pontoise, ove la band si era ritirata per motivi legati alla feroce persecuzione fiscale del governo di Sua Maestà. Non videro però la luce che vent'anni dopo, e lo stesso nome con cui l'opera è venuta a fama è emblematica di come il progetto fosse naufragato.

Ricordo che quando attaccò la chitarra acustica dell'intensa "First Post" le casse crearono un'attesa non da poco, confermata dal clavicembalo e dall'incisiva batteria della bella "Animalee". E poi venne "Tiger Toon" ed espressione ammutolita mi colse: d'un colpo ricordai tutto.

I nastri null'altro erano che la prima stesura del monumentale "A Passion Play", che avrebbe diviso critica e pubblico l'anno seguente. Il brano in questione è uno dei bellissimi assoli di flauto dell'opera, sfociante nell'estasi batteristica che conduce al seguente "Look At The Animals", questa volta inedito di grande fascino, seppur dall'atmosfera inconfondibile. Un gruppo in gran forma, confermata dalla successiva "Law Of The Bungle", anch'essa edita nell'opera del '73 in veste rinnovata. "Law Of The Bungle, Part II" è una ripresa delle atmosfere dei brani seguenti, e non avrebbe sfigurato nel concept con il suo incedere di flauto e batteria cucito al solito dalla maestria di Martin Barre alla chitarra.

"Left Right" lascia interdetti con il suo originale vorticare di api e rumosi insettistici vari, ma lo zio Martino dissolve tutto quanto e ne ricama un tappeto in cui la band intreccia l'ordito con la sua maestria costruendo un brano duro ed ipnotico. "Solitarie" è invece (altra sorpresa) la prima apparizione della perla acustica di "Warchild", che d'altronde è noto aver avuto una gestazione lunga e travagliata (il brano in questione è "Only Solitarie"). Ne segue il perno dei Tapes: quella "Critique Oblique", ossatura della prima parte di "A Passion Play" (un intero movimento della suite ha lo stesso titolo), in cui l'organo e il duro flauto lasciano più che in ogni altra traccia intuire ciò che sarà (nei nove minuti della... minisuite compaiono già importanti elementi quali il vecchio cane che ulula nella tristezza ed i macabri esaminatori di corpi). Da urlo la coda strumentale, impressionante. "Post Last" è invece una versione perlopiù strumentale (ovviamente il testo del concept è stato steso solo per il nuovo progetto) che poco si discosta dalla grandezza del brano precedente.

Venendo alle ultime tre tracce, esse non costituiscono materiale inedito, essendo già state pubblicate nel cofanetto per il ventesimo, cinque anni prima: alla loro bellezza si deve, forse, la richiesta a gran voce dei fan della pubblicazione dell'intera serie dei Château D'Isaster. "Scenario" è di una dolcezza commovente, con Ian che duetta con la chitarra in un alone musicale che mette i brividi. "Audition" è un brano molto tulliano, con l'incisiva voce del pifferaio magico doppiata dal fido Martino, mai invadente o banale: uno dei migliori chitarristi di sempre, forse proprio per questo. "No Rehersal" è infine un ottimo brano, dall'atmosfera immediatamente riconducibile a "Passion Play" (ottimi come sempre anche gli altri membri, Evan alle tastiere e l'eccezionale coppia ritmica costituita da Barlow, in grande evidenza con il suo drumming impressionante, ed il grande bassista Jeffrey Hammond-Hammond). Ottima chiusura, insomma, per un lavoro che non può non prescindere dalla grandezza che caratterizzerà il controverso capolavoro cui tanto ho, inevitabilmente, accennato. Risentire la grande voce che fu di Ian Anderson immagino abbia quasi commosso chi ha sempre amato i Jethro Tull, di nuovo nel pieno dei loro anni di grazia: in anni non sospetti, una perla direttamente dall'era in cui il progressive rese la musica visceralmente immortale.

Il secondo CD (Your Round) contiene pezzi 'troppo simili o troppo diversi dai brani già esistenti dei Jethro Tull', come spiega Ian Anderson stesso negli sleeve notes. Scarti di registrazioni, dunque. Niente più. Ma che scarti!!! Dalle session di Warchild si apre lo scrigno della magia: "Paradise Steakhouse", brano eccellente, prog rock al massimo, in cui la voce di Ian spacca ancora i timpani e il flauto è quello di sempre. Poi "Sealion II", mancato seguito di "Sealion", dove canta il buon Jeffrey Hammond-Hammond. Una versione stramba, bisogna farci indubbiamente l'orecchio, soprattutto nella parte centrale "da osteria"; appare anche il sax, rimasuglio del periodo A Passion Play. E poi "Quartet", capolavoro, spesso proposta dal vivo, scritta prevalentemente da John Evans: Bach, musica barocca, archi arrangiati da Dave (ora Dee, sigh!) Palmer, clavicembali, flauto, sax, cori, organo Hammond che suona la fuga di Bach. Insomma, genio. Anderson e Palmer duettano in studio ed esce fuori un pezzo da pianobar come "A Small Cigar", dove Ian canta appassionatamente, suona l'acustica con il solito tocco poetico e caratteristico e tesse le lodi al sigaro, a suo giudizio molto meglio degli spinelli. Ma la grande poesia, l'elegia, il poema epico, il tema da dieci e lode è lei, "Broadford Bazar". Capotasto al settimo, chitarra elfico-celtica, flauto scozzese in sottofondo, a tessere trame flessuose, voce al confine fra meraviglia e incredibile. Il tema è il mercatino delle pulci sull'isola di Skye dove Ian Anderson abita. Un pezzo che rallegra la giornata, solare, emerso nel 1978 dalle session di "Heavy Horses" e misteriosamente accantonato.

Nel 1981 i Jethro Tull non pubblicarono niente, interrompendo il ciclo di un album all'anno iniziato nel 1968. Pochi sanno invece che l'album c'era ed era già pronto, ma a causa di un manager/produttore incompetente i nastri rimasero chiusi in un baule per anni e dimenticati. Le session del 1981 sono, per sonorità, a metà fra "A" e "Broadsword And The Beast". "Crew Nights" non è malaccio, con un ritornello quasi Aor e i sintetizzatori che si intrecciano con le parti flautate. "The Curse" parla di una tredicenne di nome Gladys a cui vengono le mestruazioni per la prima volta e pensa di avere addosso una maledizione. Ad Ian Anderson è sempre piaciuto scherzare con questi argomenti e musicalmente il brano risulta essere solido e dalla ritmica buona, con lo Zio Martino che si diverte a fraseggiare fra una strofa e l'altre e Vettese che fa le sue solite minchiate al synth. "Commons Brawl" ci presenta il mandolino di Dave Pegg e pifferi di sottofondo, in un ritorno alle origini: la freschezza dei paesaggi scozzesi viene descritta in un folk rock caldo e genuino, protagonista un cottage, ossia la "house of Commons Brawl". "No Step" è invece una primitiva versione di "Watching Me Watching You" di "Broadsword", e parimenti ripetitiva, tecnologica, sperimentale e scassamaroni. "Drive On The Young Side Of Life" è un pezzo ricco di pathos, a tratti maestoso, ma forse un po' distaccato. "Lights Out" riprende i temi di "No Lullabay", ossia il bambino nella stanza che ha paura del buio e si immagina mostri. Buon pezzo, ma anche l'entusiasmo non è a livelli altissimi. "Man Of Principle" parte già alla grande: fuga di Bach fatta col flauto e il basso di Dave Pegg che costituisce la spina dorsale del brano. Ma perché, mi chiedo, perché non pubblicare tale capolavoro? Boh! Almeno su "20 Years Of Jethro Tull" poteva starci come inedita...

Nel 1989 "Hard Liner" non viene inclusa nell'album "Rock Island" ed è un vero peccato perché forse questo brano avrebbe fatto di Rock Island un disco un po' più consistente. Nel 1990 Ian scrive un'altra manciata di pezzi che non riesce a pubblicare: un buon rock alla Jethro con "Piece Of Cake" ("sei una fetta di torta", cosa avrà voluto dire? He he!); poi "Silver River Turning", un pezzo alla "Waking Edge" o "White Innocence", molto bello, dagli arrangiamenti sublimi, che narra di un fiume che diventa blu, inquinato a morte; "Rosa On The Factory Floor", che è esaltante, letteralmente, soprattutto per le stupende note create dal flauto traverso e il ritornello; e poi "I Don't Want To Be Me", e anche qui piffero e mandolino si fondono meravigliosamente l'uno nell'altro. E che dire quel flauto traverso che zufola nel ritornello? Pelle d'oca!  Infine "Truck Stop Runner", pezzo allegro e spensierato, dove il piffero è magico e la chitarra dello Zio Martino ricorda leggermente quella di Mark Knopfler.

Il ricavato di Nightcap va tutto in beneficenza (motivo in più per acquistarlo originale). Tutto questo è Nightcap: il più grande regalo che un artista possa fare alla sua schiera di "fedelissimi", di fan irriducibili, di quei rompicoglioni a caccia di autografi nei backstage, nei quali si sono furtivamente intrufolati. Un disco per i veri intenditori del genere, un disco interessante, che contiene una svariata gamma di generi e stili, in cui suonano ben 12 musicisti diversi. Nightcap: il goccetto di liquore prima di andare a letto, per poi tuffarsi in sogni fatti di flauti magici e chitarre incantate.

(scritta in ordine di apparizione da: Pibroch & the green manalishi)   

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