Accidenti che belle scoperte che si fanno navigando su Internet anche di notte approfittando dei tempi morti mentre si lavora.... Ti becco un sito che sembra cogliere tutti i miei desideri di disquisitore della sublime arte. Prendo atto e subito mi iscrivo e dopo avere recensito due albums di un altro artista passo ai miei preferiti in assoluto.
mmmm.... dunque: scorrendo i dischi già recensiti dei JT mi accorgo che davvero mi rimane poco da recensire. Ma vedo anche che quello che forse è stato il loro migliore lavoro nei '90 ancora non lo è; prendo la palla al balzo e rimbalzandovi sopra, inizio a ripercorrere con la mente questo album del 1995.
"Roots To Branches", ovvero dalle radici ai rami. Dalle radici in cui affonda la magia dell'arte di Mr. Anderson ai rami che svettano alti nell'etere diffondendo quella mistura di mille generi che da 38 anni ci delizia. Ma la magìa è senza tempo, non ha età e soprattutto ha poche facce e tra queste c'è quella del pied-piper e dei suoi scudieri: JETHRO TULL
Dopo 4 anni di assenza dalla scena discografica (nel '92 a dire il vero ci fu la pubblicazione di "A Little Light Music", semiunplugged dal vivo che pero' nulla aggiunge e nulla leva alla vita dei JT), il gruppo dell'istrione scozzese si presenta ai milioni (si, milioni) di fans che con la lingua di fuori aspettavano da troppo tempo un lavoro nuovo. Dal cilindro senza fine di idee di Ian esce questo lavoro che mi sento di definire senza dubbio ancora un pezzo di arte allo stato puro e che si eleva al di sopra del precedente "Catfish rising" (a proposito, anche questo non ancora Derecensito.... rimedierò....). Decisamente accattivante la copertina che in un certo senso continua in veste grafica ciò che Ian fece musicalmente col precedente lavoro solista (Divinities).
A mio parere sin dalle prime tracce del brano di apertura che è anche la title track, si respira un clima decisamente più arioso a livello di produzione rispetto a 'Catfish Rising'. I timbri sono brillanti e l'intro del pezzo subito ci presenta tutti i membri del gruppo che fanno un'apertura simile a un antipasto. Su tappeto della tastiera di Andrew Giddings svolazzano note in sospensione del flauto del basso di Steve Bailey (un maestro) e della magica dodici corde del fido "Lancillotto" Barre. Rullata di Doane Perry alla bateria e siamo in navigazione Tulliana che più Tulliana non si può. La linea melodica è decisamente intrisa di un'atmosfera orientaleggiante e la canzone piena di stacchetti e virtuosismi mai ampollosi si articola fino alla fine. Bene, come inizio non c'è male.
"Rare and Precious Chain" è il brano seguente e qui davvero siamo in pieno clima orientale almeno all'inizio con la chitarra di Martin Barre che distorta ci introduce alla delicata melodia cantata. Dopo, il pezzo si sviluppa a tempo di rock ma sempre con le venature semi-mistiche di tastiera e chitarra. Forse non è il top ma che diamine! sempre di gran classe si tratta.
Quasi a ricordarci che Egli è un maestro e che il rumore in tutti i sensi non gli è mai appartenuto, il vecchio Ian e i suoi ci introducono a "Out of the Noise". Qui davvero siamo di fronte a qualcosa di eccezionale che si mette al livello della migliore produzione dei Tull. C'è di tutto: flauto e chitarra che si intrecciano quasi a inseguirsi in un gioioso gioco e il drumming di Doane Perry è davvero esaltante, raffinato pieno di ricami, accompagnato dalle tastiere che quasi sembrano non volere intromettrersi troppo e che invece sono preziosissime (sinceramente Andrew Giddins mi piace molto per la sua maestria e il senso della misura). "Free Will" è il pezzo successivo, una ballata elettrica abbastanza anonima certamente piacevole ma niente di speciale che si segnala soprattutto per la chitarra in bella evidenza.
Inchiniamoci viceversa alla song successiva: "Wounded Old and Treacherous". Fortemente jazzato con la voce di Anderson che ci accompagna per mano su un testo veramente ironico e "cattivo" nel senso migliore del termine. Vecchio cattivo e perfido, questa la traduzione del titolo e ci sembra quasi di rivedere il ghigno satanico e dolce al contempo del vecchio Aqualung (mamma mia, la leggenda....). Bellissimi stacchi di classe che crescono fino al termine caratterizzato da una maestosa e ritmicamente "forte" presenza di tutti i membri. Un gioiello.
Altro gioiello assoluto è "Valley" dove l'inizio fortemente folkeggiante a base di acustica arpeggiata con maestria è seguito da un'esplosione hard dove la chitarra di Barre e il drumming preciso ed essenziale di Perry regalano momenti di commozione pura. Anche Giddings colora alla grande con un vecchio Hammond e il finale che si articola in un atmosfera quasi pastorale ha nel soffio violento e dolcissimo di Anderson nel flauto la sua forza. "Dangerous Veils" è forse il brano strumentale più incredibile dei Tull (insieme a Bourrè e The Martin pine's jig). Ci sono mille stacchi e impetuosi ritmi eccezionali giocati alla batteria con un vigore assoluto, e il resto del gruppo che incorona questo pezzo sul trono del progressive-jazz-rock (è sempre difficile catalogare la musica dei Tull). Posso dire che la title track, "Out of the Noise" e le tre canzoni appena nominate, giustificano da sole l'acquisto di "Roots to Branches". Ma non è finita: continuiamo con "Beside Myself", pezzo delicatissimo che parla di una bambina prostituta di Bombay (i Tull erano reduci da poco da una trionfante tournèe in India). Niente di eccezionale ma comunque ascoltabilissimo. Ballata che si sviluppa poi in maniera elettrica con intervento di violini sintetizzati da Giddings. "At Last Forever" è una canzone d'amore delicatissima cantata con molto trasposrto e eseguita benissimo, ma la trovo evitabile.
Le conclusive "Stuck in August Rain" e "Another Harry's Bar" sono bei pezzi leggeri ma eseguiti con la solita classe che sanno dimostrare come Mr. Anderson & co. possono anche solo intrattenere superando di gran lunga tutta quella melassa consumistica-pop che invade le radio di tutto il mondo e purtroppo anche le menti di molti ragazzi e non più giovani (ho già dato ordine a mia moglie che in caso di rincoglionimento senile post-50, mi uccidesse senza preavviso). La chiosa a questo lavoro? Possiamo pretendere sempre capolavori assoluti a chi ne ha prodotti a profusione? NO, possiamo solo pretendere tanta buona musica con pochissimi cali di tensione, ed è esattamente ciò che "Roots To Branches" a mio avviso è.
Per tutti i neofiti di Anderson e soci, è ovvio che ci sono almeno una mezza dozzina di dischi da acquistare prima di questo.... Ma negli anni 90 chi poteva esprimere tutta questa classe e rigore artistico dei grandi del passato? Solo chi passato non lo è mai. Jethro Tull.
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