"E' preferibile non viaggiare con un morto" (Henri Michaux)

Un'allucinazione. Un viaggio d'iniziazione all'aldilà.

Dead Man è un western. Dilatato, drogato. Un racconto che procede per abbagli, surreale. Johnny Depp si aggira pallido e incredulo, come un ombra, William Blake è morto.

Un bianco e nero quasi metafisico, un'esperienza di deserto interiore. I sentimenti, le scosse elettriche, attraversano casualmente il flusso narrativo, galleggiano. I momenti d'intensità non sono le morti violente o i pericoli inattesi; piuttosto veder passare un cervo, osservare i profili di una foresta spoglia, scrutare le tende indiane dal finestrino del treno.

Un film che trascende il genere, ma che ne è anche una farsa. Pretenzioso, epico, grottesco, memorabile, a tratti poetico. I minuti di contemplazione estatica, i dialoghi talvolta privi di senso, la noncuranza con cui sono risolti i momenti topici, tutto contribuisce ad annebbiare la mente. Lentamente il ritmo si sfilaccia fino a diventare un volo onirico.

La chitarra di Neil Young recita un rito pagano. Affiora qua e là, sussulta. Un salmo, un inno alla natura incontaminata. Elettrico. Ora si sofferma su una foresta di sequoie, su un cielo nebuloso, su un villaggio abbandonato. Di tanto in tanto lacera, spesso assume i toni di un canto autoctono. Asseconda i silenzi.

William Blake è ferito, ha perso sangue. Non si regge in piedi, ma deve. Le palpebre pesanti, i movimenti faticosi, la vista offuscata. Cammina e cade, si rialza; le figure e le cose intorno a lui lo osservano come fantasmi.

William Blake è morto.

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