Chi ama veramente Hendrix e capisce la sua musica, non può ignorare il fatto assodato che fra le testimonianze più veraci della grandezza del suo genio ci sono le esibizione dal vivo. Nella pur cervellotica discografia Hendixiana, presumo che (non ho fatto un conto preciso... ) la larga parte che la compone è per oltre il 70 % composta da compilazioni ufficiali e botlegs di concerti.

Pura pazzia sarebbe quindi non attingere a questo tesoro inestimabile, data anche la discreta qualità di registrazione della maggiorparte di esse.

Prendendo come coordinate per l'orientamento all'ascolto le succitate informazioni, uno dei più validi e belli esempi, è una delle pietra miliare della genesi Hendrixiana; il concerto di addio della storica Experience del 24 febbraio 1969 al Royal Albert Hall di Londra.

L'esibizione fù decisa per celebrare lo scioglimento definitivo della formazione a tre originale della Experience Hendrix appunto, la quale fù messa in piedi nel 1967 dall'allora scopritore e manager del chitarrista di Seattle, il bassista degli Animals, Chas Chandler. Ad accompagnare Hendrix, ci sono quindi, al basso Noel Redding, e alla batteria Mitch Mitchell.

Il set approntato per l'occasione non poteva non comprendere tutti i classici della band, e le “solite” (si fa per dire eh...) cover di classici blues cari ad Hendrix.

Ad un primo ascolto non necessariamente attento si percepisce da subito che il trio tutto compreso è in forma smagliante, ispiratissimo e furente. Probabilmente l'idea ormai metabolizzata di potersi liberare di una situazione che per tante ragioni si era manifestata insostenibile all'interno della band, avesse giovato a tutti e tre, e li avesse consentito di esprimersi al meglio, a mente serena e senza stress.

Considerando l'intera scaletta del concerto, non presente in questo album e contenuta in altre compilations, Hendrix appare ormai come un super-chitarrista blues, padrone assoluto ed inimitabile della chiatarra elettrica, e di tutto quello che la fa funzionare.

Padroneggia con sconcertante imbarazzo il feedback dai sui leggendari Marshall, come irresistibile e magnifico ornamento e variazione al suo stile, unendolo con maestria al nuovo pedale octavia che si è da poco fatto costruire, ottenendo delle tonalità e degli slanci da pelle d'oca. Il modo di martoriare le corde col tremolo, allungandole ed accorciandole di continuo, la frenesia di spostare di continuo su e giù la levetta del distorsore sulla strato, e ancora il modo di pizzicare o percuotere le corde, tutta la sua tecnica insomma è all'apice.

Non bastasse questo, Jimi in questa precisa occasione è ispiratissimo: in nessun brano escluso riesce ad improvvisare in maniera incredibile, creando magnifici e incredibili sviluppi e riprese nei brani. Chi di voi sa quanto sia difficile improvvisare su un qualsivoglia strumento musicale, potra facilmente comprendere il valore dell' arte Hendrixiana.

Fra i brani da ascoltare assolutamente, ci sono una versione da brividi di “Fire“, con un Redding dal basso vorticoso, una “Red House“ variata alla “Born Under A Bad Sign“ del mentore Albert King, e una “Stone Free“ con uno stacco improvvisato di arpeggi spagnoleggiante.

Uno dei concerti più belli di Hendrix e dei suoi gregari inglesi.

Carico i commenti...  con calma