Io, da ragazzo, facevo i panini alla discoteca Verde Luna.

E la discoteca Verde Luna il venerdì offriva fungaggine cosmica, ovvero, come diceva il buttafuori Cazzurlo, musica da cavrones.

Cazzurlo era quello che aveva dato quell’azzeccatissimo soprannome alla Carla (barista e figa spaziale). E quel soprannome era Conta.

Conta...cosa conta?..conta scopare col capo.

E in effetti la Carla, da quando si dedicava a quella mirabile attività, aveva assunto un’alterigia che ve la raccomando…

Il sabato la discoteca Verde Luna offriva invece fungaggine moderata per cavrones eretici…

E la domenica? La domenica Reggae…

Che il concetto era “facciam talmente tanti soldi con la fungaggine che la domenica se anche non vien nessuno fa niente”.

E non veniva nessuno davvero e per provarlo basta dire il numero dei panini: duecento il venerdì, centoventi il sabato, venti (se andava bene) la domenica…

E così per la maggior parte del tempo me ne stavo a ciondolare per il posto, ballicchiando, bevendo, ma soprattutto ascoltando.

E, cazzo, che musica…

Soprattutto mi piaceva quel pezzo che inizia con un tizio che urla in patwa giamaicano“Forward and payaaka, manhangle and den go saaka” ( che dovrebbe significare una cosa tipo “vai a rubare la ragazza di qualcun altro, tienila stretta e poi scopala”)

Ecco quel pezzo mi faceva letteralmente impazzire.

Oggi so che, interpretata da un certo Scotty, è la cover di un celebre brano rock steady.

A Scotty il signor Laganà, nel suo libro “Cento dischi ideali per capire il reggae”, dedica appena una notarella a margine e definisce la canzone “ciondolante”

E, a dire il vero, per ciondolare, ciondola...ma lo fa assai bene…anzi, come meglio non si potrebbe.

Il brano si chiama “Draw your brakes” ed è la traccia due di “The harder they come”.

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Diciamo la verità, quella storia di Heile Selassie visto come dio in terra fa un po’ ridere.

E’ che qualcuno, nella fattispecie il sognatore nero Marcus Garvey, prese sul serio una oscura profezia sull’incoronazione di un re nero che “avrebbe cacciato il colonialismo, estirpato il male e preparato il continente africano al ritorno della sua gente”

E poco dopo Ras Tafari che fa? Non ti diventa appunto imperatore di Etiopia con il nome di Heile Selassie?

Certo, se dovessimo elencare tutte le stranezze delle varie religioni, non la finiremmo più. Però, ammettiamolo, questa è grossa davvero.

A meno che, ovvio, non viviate in Giamaica, magari in un ghetto, magari col fiato della polizia sul collo visto che, da sempre, ti arrangi come puoi.

Ah signori, vi posso garantire che da quella prospettiva tutto cambia.

Poi va be’, magari qualcuno potrebbe dirmi che in “The harder they come” il rastafarianesimo non è ancora centrale come da Marley in poi. E avrebbe pure ragione, tra l’altro.

Però c’è un però.

E quel però è una canzone intitolata “Rivers of Babylon”….

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Rivers of Babylon” è una delle canzoni più importanti della storia giamaicana.

E, soprattutto, è un dolcissimo inno religioso con parole di fuoco che, pur fluttuanti su un ritmo pigro e sornione, richiamano il (durissimo) salmo 137 della bibbia.

In quel salmo a parlare, e a giurare vendetta, sono gli ebrei deportati a Babilonia. E con quel salmo l’identificazione di chi canta è totale. Non è difficile capire perché.

Ecco, a questo punto, credo sia utile ricordare una cosetta che ho scoperto da poco, e la cosetta (fonte San Eddy Cilia) è questa: nell’estate del sessantasei Heile Selassie fece un viaggio di stato in Giamaica.

All’aeroporto fu accolto da centomila persone e quelle centomila persone cantarono per ore una canzone, indovinate quale…

C’era un problema però: Heile Selassie era del tutto ignaro di essere un dio in terra, così, vedendo (e ascoltando) tutta quella gente che cantava, si spaventò e si rifiutò di scendere dall’areo…

“Rivers of Babylon”, eseguita dai Melodians, favoloso trio vocale rocksteady, è la traccia tre di “The harder they come”.

Scotty, i Melodians? E Jimmy Cliff?

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Ecco, appunto, mica mi par giusto che “The harder they come” sia attribuito al solo Jimmy Cliff.

Ok, Jimmy, stimatissimo da gente tipo Dylan e Paul Simon, era, in quel momento, il cantante reggae par excellence. E, ok due, era pure il protagonista del film di cui il disco è scintillante colonna sonora.

Però, insomma, canta quattro canzoni su dieci. E non è che gli altri sian gentucola…

Tanto per dire, oltre ai Melodians, ci sono i leggendari Maytayls, che, col singolo “Do the reggay”, furono i primi ad usare la parolina magica (parolina che, immagino ci arriviate, non è “Do”, ne tantomeno “The”)

E c’è Desmond Dekker che a fine sessanta piazzò un singolo rocksteady (“Isrealites”) al numero uno delle lande albioniche.

E “Isrealites”, presente nella edizione deluxe di “Harder”, è un’altra canzone epocale.

Sorta di incongruo spiritual caraibico e salterino (con coretti e quant’altro), inizia con parole che, vista la musica, non ti aspetteresti: “Get up in the morning, slaving for bread”. All’incirca “mi sveglio alla mattina per andare a fare lo schiavo”

Che il bello di queste canzoni è che, a fronte di una musica freschissima e ingenua, ci sono spesso parole potenti.

Quindi Maytayls, Desmond Dekker, Melodians...

Però è Jimmy l’intestatario.

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Il reggae, senza contare alcune parentele mitiche ( tipo l’Africa o il soul che veniva dagli states) è figlio del rock steady e nipotino dello ska.

E la storia del passaggio da ska a rocksteady, almeno come la racconta San Eddy Cilia, è piuttosto divertente.

Ecco, tale passaggio sarebbe avvenuto per via della bollente estate del sessantasei. Sembra che in quell’anno in Giamaica il caldo fosse tale che sostenere col ballo i velocissimi ritmi ska era diventato impossibile.

Così, semplicemente, si rallentò il passo…

La stessa storia però Jimmy Cliff la racconta in modo diverso.

“La musica giamaicana è direttamente legata allo spirito della gente, perché proviene dalla coscienza del popolo. Al tempo dell’indipendenza quella musica era costruita su ritmi veloci, perché tutti si sentivano in movimento: fu chiamata ska. Poi la gente si è stabilizzata, ha iniziato a chiedersi il significato dell’indipendenza, la musica è diventata più lenta, più rilassata e ha preso il nome di rocksteady”

Poi siccome con il reggae le cose cambiarono ulteriormente (il passo ancora più rallentato, certo, ma anche qualche altra “quisquilia” a cui ho già accennato) il nostro Jimmy aggiunge:

“Infine il popolo ha capito che l’indipendenza non rappresentava tutto. Ha cominciato a cercare le proprie radici africane: è nato il reggae.

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“The harder they come” fotografa quindi un momento di transizione, ovvero il passaggio tra rocksteady e reggae, avvenuto, in realtà, qualche anno prima prima dell’uscita del disco

Inoltre annuncia al mondo, ben prima dell’avvento di Re Marley, la bellezza della musica giamaicana. E lo fa presentando un gruppo di artisti formidabili e un suono, sole e polvere insieme, ancora deliziosamente roots.

Con ancora un piedino (forse anche uno e mezzo) in quei generi che tutti insieme diedero vita allo splendido fanciullo, nato comunque ben consapevole, di background, retaggi e quant’altro.

Sole e polvere abbiam detto…

E quella polvere ha il profumo dei sessanta e la freschezza assoluta dell’origine di qualcosa...

E un’ipnosi dolce, un suono caracollante…

E il solito mix di spiritualità e naturalezza (per non dire sensualità) di molte delle musiche, diciamo così, non europee…

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Poi va be, bisogna parlare di Jimmy, mica lo volevo snobbare. Tra l’altro le quattro canzoni presenti sono fantastiche e, forse, le sue migliori di sempre.

Che dire, ad esempio, di una title track che esce dal mood rilassato del disco e pompa alla stragrande con un fantastico piglio erre bi particolarmente adatto ad un testo a metà tra il folk singer incazzato e l’eroe spaghetti western?

Già, che dire?

Non so, può bastare il fatto che il signor Bob Dylan, ogni tanto, l’abbia eseguita dal vivo, riconoscendone, immagino, la straordinaria capacità di dire l’essenziale come meglio non si potrebbe, nonché la parentela strettissima con gli amatissimi folk singer e blues man del passato?

E “You can get it if you really want”? Boh, facciamo che è una di quelle canzoni che, in qualsiasi momento l’ascolti, ti fanno la giornata. E siccome di giornate di merda ne capitano parecchie…

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E il film? Ecco, il film non l’ho visto...

Peccato, visto che, a quanto si dice, avrebbe il merito di aver mostrato, per la prima volta, la vera Giamaica, evitando le immagini da cartolina per turisti annoiati.

B movie ispirato da blaxpoitation e spaghetti western, narra le vicende di un giovane che, dopo essere arrivato in città dalla campagna, tenta, senza fortuna, la carriera di cantante per poi finire a spacciare Ganja nelle strade di Kingston.

Jimmy Cliff, l’abbiamo detto, ne è l’interprete principale, nonché in parte co/sceneggiatore. Niente di strano: in fondo anche lui veniva dalla campagna e aveva spacciato Ganja nelle strade di Kingston…

Non era però certo diventato, come accade al protagonista del film, il pericolo numero uno dell’isola’, oltre che idolo di quei rude boys che lo trascineranno in cima alle classifiche, in barba ai discografici cattivi.

Il musicista fuorilegge, insomma. Uno che potrebbe parlare come Jimmy nella title trak del disco:

Parlano di una torta nel cielo

che mi aspetta quando sarò morto.

Appena sei nato ti buttano giù

venti piedi sotto il suolo.

Come è certo che splende il sole

mi prenderò quel che è mio.

Più sono duri

più forte cadono

tutti quanti.

Gli oppressori cercano di reprimermi

cercano di farmi andare sottoterra

e pensano di aver vinto la battaglia

Io dico signore perdonali

perché non sanno quello che fanno,

Come è certo che splende il sole

mi prenderò quel che è mio.

Più sono duri

più forte cadono

tutti quanti.

Loro ti metton li cercando

di farti andare da qualsiasi parte

preferisco essere un uomo libero nella tomba

piuttosto che vivere come una marionetta

o come uno schiavo

Come è certo che splende il sole

mi prenderò quel che è mio.

Più sono duri

più forte cadono

tutti quanti.

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Ah, per “Pressure drop” dei Maytayls e 007 (Shanty town) di Desmond Dekker, chiedere ai Clash…

Aloha...

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