Questo undicesimo album di carriera del biondo veterano della chitarra rock è uscito l'anno scorso quasi a sorpresa, essendo di vent'anni tondi la distanza temporale col precedente "Songs For A Dying Planet". Nel mezzo ci sta la ripresa della storia con gli Eagles (tuttora in essere) e soprattutto l'aspra e penosa battaglia contro bottiglia e cocaina, due viziacci che pure, a suo dire, hanno avuto un ruolo ispirativo ed energetico primario nella sua musica. Il prendersi cura di se stesso a quanto pare aveva ottenuto lo spiacevole effetto collaterale di azzerargli quasi del tutto la creatività. 

Sembra allora che Joe abbia superato anche quest'ultima difficoltà (professionale, stavolta...) tant'è che l'ispirazione principale di "Analog Man" è costituita dalla puntuale enunciazione e descrizione dell'attuale, positiva fase della sua vita condita di serenità, appagamento affettivo, nuova paternità, fiducia in sé e in alcune ben scelte persone, accettazione della propria... avanzata maturità (da cui il titolo dell'opera ed il testo della canzone omonima in apertura, anche).

Beninteso, il disco suona più o meno come i suoi precedenti: Walsh ci tiene a farci sapere che ha smesso di girare la notte per tutti i party di Los Angeles e che le giuste ore di sonno, l'ambiente familiare e il rinnovato piacere di vedere un figlio crescere sono entrati nel suo quotidiano. Concetti questi del tutto nuovi nelle sue liriche, le quali mantengono il solito pregio di essere sincere, semplici e brutalmente dirette... intanto che la chitarra in azione è per fortuna quella di sempre, penetrante e al contempo misurata, da vero rocker che però ha sempre tenuto a fare le cose con classe, senza sbrodolarsi in eccessivi tecnicismi e solismi.

Sin dai tempi della James Gang, sua prima formazione di successo a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, le scalette dei suoi dischi fanno convivere pochi e selezionati, torridi rock blues con tutto un corollario di divagazioni funky, ballate romantiche con orchestra al seguito, intermezzi acustici e goliardate belle e buone (ricordo al proposito una notevole "I Like Big Tits!", in un disco degli anni ottanta), sempre con quella tendenza a non prendersi sul serio. Un atteggiamento questo che genera simpatia e allegria, ma che certamente gli ha precluso l'ingresso nell'immaginario collettivo di molti appassionati, quelli che abbisognano di personaggi pieni di fuoco e di struggimento, totalmente pervasi dalla loro musica, dal messaggio che devono propagare con essa, dai problemi del mondo e dalla complessità delle interazioni umane.

Joe ama profondamente la musica e la chitarra, ma anche molte altre cose (è un convinto radioamatore, ha fatto pure l'attore, si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti...). Lo spettro di interessi è stato ampio, il tempo perso a cazzeggiare e coltivare amicizie e relazioni evanescenti altrettanto e perciò la percezione primaria che l'ascoltatore distratto ha di lui è quella di un musicista buontempone superficiale e ordinario. A questa tendenza di giudizio contribuisce non di poco il timbro della sua voce, acuto e chioccio, carico di ironia.

Dal punto di vista degli addetti ai lavori il nostro non ha invece mai avuto problemi: per i musicisti e per i chitarristi in particolare lui è uno dei grandi al mondo (per il sentenzioso e lapidario collega Pete Townshend Joe è "il più grande chitarrista rock dell'emisfero settentrionale"!), naturalmente escludendo il ghetto dei cosiddetti shredders, ossia i discepoli ed adoratori dei Petrucci/Vai/Malmsteen  e compagnia. Questo con speciale riguardo verso la tecnica slide, o più precisamente bottleneck, visto che Walsh ama infilarsi al medio della mano sinistra la famosa bottiglietta di medicinale di vetro, similmente a Duane Allman, Rory Gallagher e Gary Rossington, per ottenere suoni meno metallici strisciandola sulle corde. Poche note alla volta di questo vero caposcuola bastano e avanzano a caratterizzare il passaggio di una canzone, a creare un riff cordiale e penetrante, ad armonizzare un accordo.

Ne ha viste di tutti colori Joe Walsh, nei suoi sessanta e passa anni: il rifiuto dei suoi genitori naturali (fu adottato, porta il cognome del suo patrigno), una figlia morta in un incidente d'auto ad appena tre anni (si chiamava Emma, c'è una canzone col suo nome nel titolo e che la rimpiange, sta in un album degli anni settanta), l'alcolismo cronico, l'assuefazione alla cocaina, lo stress assoluto di dover/voler militare in un gruppo ambizioso e arrogante come furono gli Eagles in passato.

Ora sta bene, ci tiene a farcelo sapere a suo modo e cioè suonandoci sopra, bene come sempre e con alcune (non molte, una ogni tanto) buonissime trovate melodiche, timbriche, armoniche, chitarristiche. Ci accontentiamo.

Elenco tracce e samples

01   India (03:44)

02   Hi‐Roller Baby (03:18)

03   Funk 50 (01:57)

04   But I Try (06:40)

05   Family (04:21)

06   Lucky That Way (04:14)

07   Band Played On (04:03)

08   Wrecking Ball (03:45)

09   Analog Man (04:02)

10   One Day at a Time (03:18)

11   For the Record (17:24)

12   Fishbone (03:48)

13   Spanish Dancer (03:49)

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