Il compositore, cantante, produttore, tastierista, attore, attivista politico, radioamatore ma soprattutto chitarrista Joseph "Joe" Walsh da Wichita, Kansas, tiene all'attivo nove album a suo nome di cui questo, datato 1978, risulta essere cronologicamente il terzo.
Walsh è musicista dalla forte personalità, con tratti inconfondibili costituiti dall'acutissima, nasale e sorniona voce e dal peculiare e rinomato stile alla slide guitar, suonata alla maniera del maestro dei maestri Duane Allman e cioè adoperando una bottiglietta (vuota...) di Coricidin, infilata al dito medio sinistro. In tutta la carriera ha in ogni caso sempre cercato di proporsi come musicista a tutto tondo, componendo sovente al pianoforte e all'organo oltre che alla chitarra, diversificando ed allargando generi musicali ed arrangiamenti, affiancando all'indubbia grinta da vero rocker una profonda predisposizione melodica, elevata nei momenti migliori ad emozionante liricità.
L'immancabile vena da buontempone che l'ha sempre contraddistinto comincia già dal titolo dell'album e dalla sua copertina, un autentico (niente computer grafici al tempo...) scatto subacqueo del buon Joe mentre cerca di fare colazione... sul fondo di una piscina, e finisce solo con l'ultima delle otto sue canzoni, l'assolutamente dominante "Life's Been Good", quasi nove minuti di delirante ma ironica elegia in prima persona sulla bella vita delle superstar, tutta feste, limousine e camere d'albergo distrutte per passatempo.
Questo capolavoro di carriera di Walsh suona differente da qualsiasi altro brano rock, mischiando in maniera quasi operistica strutture musicali molto diverse: per cominciare un imperioso, bellissimo riff cadenzato di Stratocaster, quando invece le strofe viaggiano a tempo di reggae, fino all'assolo di chitarra (slide, naturalmente) che si fa strada attraverso i bordoni di un antico, tenero sintetizzatore ARP, per finire alla ripresa finale addirittura free form, con della rumoristica non meglio identificabile.
Alcune frasi del testo (ad esempio "la mia Maserati ne fa 185 (miglia), ci ho rimesso la patente, adesso non guido", che naturalmente in inglese viaggia in rima...) sono pressoché entrate nella cultura gergale americana. Stiamo insomma parlando di un classico (almeno oltreoceano...), un brano dalla forte personalità allegro, scanzonato, satirico ma ben concepito, arrangiato e suonato, che ha acquistato valenza storica e simbolica.
Il resto dei brani fa giocoforza da corollario, con un po' troppa saccarina west coast a tarpar le ali a composizioni dalle sempre belle idee melodiche, le quali a mio avviso avrebbero meritato un piglio più maschio e risoluto... ma Joe è proprio uno di quei musicisti da gustare dal vivo, dove la naturale potenza del suo chitarrismo e la simpatica sua mimica escono fuori prepotentemente e si accoppiano alla grande. In studio è portato a lambiccare un po' troppo, a fare sfoggio della sua classe invece che della sua energia.
Niente male si rivela lo strumentale "Theme From Boat Weirdos", con eclettici incroci di chitarre arpeggiate e slide, sintetizzatori e clavinet per un risultato di forte liricità e suggestione. "At The Station" è un bel rock urlato sonoramente dal timbro penetrante di Walsh, peccato che il suo batterista Joe (pure lui...) Vitale vada a compromettere il tutto con un lavoro al charleston nauseabondo. Menzione infine per "Indian Summer" che, fra le tante ballate semiacustiche presenti, è quella che riserva la melodia più elegante.
Tre e mezzo la mia valutazione.
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