Oggi è una di quelle giornate che avrei preferito non aver mai vissuto, uno di quei giorni in cui anche una stringa slacciata di una scarpa diventa nutrimento per un'ira vorace.. Ne capitano tante, a tutti. A me.

Ho voglia di non pensare, dimenticare per un attimo la consapevolezza di non essere diventato quello che avrei voluto essere, zittire per un attimo il rimorso. Lancio un occhiata distratta ai miei CD, spesso mi parlano; ed io sto lì, ad ascoltarli. So che ognuno di loro ha da regalarmi un'emozione, come ad un eroinomane una dose può dare l'oblio. Stasera però sono sordo.

Non riesco ad udire il loro canto, gli strumenti musicali sono come ad un tratto ammutoliti, il dito di polvere che ricopre lo scaffale che li contiene ha avvolto le corde dei pianoforti, riempito le anse delle chitarre a farne camere anecoiche, ricoperto le pelli dei tamburi come fossero uno di quei vecchi tavolini pieni di foto ricordo. Mi sento solo.

Tiro fuori, ad uno ad uno, i miei dischi preferiti, dopo poco ho nella mia mano una piccola pila. Crimson, Caravan, Yes, Van Der Graaf, Oldfield, la musica che ho sempre adorato sta sbiadendo. So perfettamente che domani tornerò a vedere le molteplici e caleidoscopiche varietà cromatiche del prog, ma la vita è fatta di stati d'animo, ed il mio di stasera non mi lascia vedere le cose che non attraverso un vecchio Nordmende in bianco e nero. Ciò non mi ha impedito di scovare con l'occhio un CD che non ascoltavo da tempo. Era lì, come uno scolaretto impreparato che non vuole essere chiamato alla lavagna, nascosto all'ultimo banco dietro ai suoi compagni. La Toccata, Adagio e  Fuga BWV 564 di Bach ha destato immediatamente la mia attenzione e con essa la voglia di trovare un po' di pace. Sic fuerat.

L'incipit della Toccata è tranquillo, discreto, preludio ad una serie di scale vertiginose. Tutte le note del pentagramma, come le infinite tonalità di grigio tra il bianco ed il nero, vengono sfiorate; si inseguono come gazzelle durante il periodo dell'estro. Poi tutto tace per lasciar posto all'adagio. Con l'incedere della frase una profonda malinconia cresce dentro di me, quel piccolo uomo con le sue dita non sta toccando i tasti di un organo ma pizzicando le corde più profonde  della mia anima. Gli occhi umettati  mal celano il turbine di emozioni che mi sta attraversando. La tristezza che  pervade questo movimento è superata solo dalla sua requieta dolcezza. La lunga nota che chiude l'adagio mi toglie il fiato. Sono in estasi.

Non mi sono ancora ripreso dal vertiginoso tuffo nel crogiolo dei miei sentimenti che ecco arrivare, in punta di piedi, la Fuga. Due note, ad alternarsi in un flebile fraseggio, sono la voce che apre il movimento. Trenta secondi di ammalianti parole, quasi ad annunciare, come fossero angeli, l'arrivo del Signore. Dio comincia ad parlare, e lo fa attraverso l'organo. Un tono greve e  maestoso irrompe perentorio, le sue sono parole di un'inaudita bellezza, una voce intrisa di sacralità e di inarrivabile dolcezza risponde agli angeli che lo hanno invocato.

La Fuga sta per chiudersi, coloro i quali avevano chiamato ora stanno lì ad ascoltare, in deferente silenzio. E' ora di rivolgere a Dio parole di commiato. Sono stremato, le emozioni hanno lasciato il posto ad un grande vuoto, mi sento come uno stadio dopo una partita di calcio, il vento a sollevare carte e giornali abbandonati sui seggiolini. So però di avere assistito ad un indimenticabile spettacolo.

Grazie Johann Sebastian.

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