L'intervista con sé stesso era uno dei vezzi più ricorrenti del genio bizzarro di Glenn Gould. Spesso le note di copertina dei suoi dischi riportavano queste dotte e al tempo stesso divertenti "interviste", nelle quali Glenn Gould rispondeva a personaggi come il compositore tedesco Karlheinz Klopweisser o il direttore d'orchestra inglese Sir Nigel Twitt-Thornwaite, impersonati da lui stesso. Del tutto surreale è l'intervista che accompagna questo doppio disco dedicato a Brahms: qui le domande le fa un certo "glenn gould" (minuscolo) che più o meno rappresenta quello che la gente si aspetta di sentire da lui, mentre a rispondere è Glenn Gould (maiuscolo), quello vero, che puntualmente spiazza il povero "glenn gould" con uscite al limite dell'irriverenza, tra il burlesco e il serio. Ma tra i vari nonsense più o meno colti, tra le righe viene fuori molto più seriamente un'insospettata attenzione alla musica romantica da parte del grande pianista canadese, sia pure a fasi alterne e con lunghi periodi di stasi. In effetti le incisioni di pianisti romantici che il Glenn Gould maiuscolo cita basterebbero da sole a smentire il cliché che lo vuole un fondamentalista del contrappunto, un talebano della fuga, sempre impegnato nell'ostinata venerazione di Bach. Però anche il romantico Glenn Gould lo fa a modo suo, e non è un caso che tra gli autori ottocenteschi da lui frequentati primeggi Johannes Brahms, pienamente romantico dal punto di vista espressivo, ma al tempo stesso rigorosamente fedele alla musica del passato, che per lui significava Beethoven, Mozart, Haydn e soprattutto Bach, che pure nel primo '800 aveva rischiato l'oblio.

Proprio quel Brahms che si opponeva agli eccessi cromatici di Berlioz e, più tardi, alla rivoluzione teatrale di Wagner e dei suoi emuli, come pure allo stile virtuosistico, pieno di larghi gesti, del pianista-istrione Franz Liszt. Ecco che i conti cominciano a quadrare: Glenn Gould tra i romantici ha privilegiato quello più asciutto, rigoroso, privo di orpelli, e in dischi come questo lo ha "trattato" da par suo, spogliandolo quasi di ogni abbellimento possibile, rivelandoci l'architettura, sia pure possente e complessa, della sua musica, proprio come con quella di Bach. Naturalmente non si può pretendere di ascoltare lo stesso suono secco ed essenziale, da pianoforte suonato come un clavicembalo, però i confronti con i pianisti più fedeli all'autore mostrano che anche con Brahms le risonanze, i legati e gli altri trucchi che Gould definiva sprezzantemente "da pianisti" sono ridotti al minimo, e la cosa più sorprendente è che ciò non sembra intaccare più di tanto il fascino più tipicamente "romantico" della musica di Brahms, la sua capacità di suscitare forti sentimenti. Per esempio lo scoppio di pianto posto al centro della stupenda Ballata n°1 Op. 10, qui sembra rappresentato da una potente e secca raffica di note ravvicinate ma ben staccate, invece che dalla fragorosa cascata che ci saremmo aspettati. Questa raffica emerge da un sussurro iniziale così timido ed incerto da sfiorare il silenzio, e passa senza lasciare eco, per far posto di nuovo al tetro "brusio" iniziale. Di questa ballata si sa che è ispirata ad un antico canto tradizionale scozzese ("Edward"), in cui un giovane confessa alla madre di aver assassinato il padre, e lo sfogo centrale rappresenta proprio il drammatico ricordo del gesto. Ma anche nelle altre tre ballate di questa intensa opera giovanile viene spesso riproposta l'alternanza tra fasi sognanti ed episodi più duri e drammatici, che Glenn Gould puntualmente sottolinea con "impennate a freddo" di stile non dissimile da quello della prima. Per la terza del resto lo stesso autore consigliava di "non far risaltare troppo la melodia" e si può dire che Gould lo abbia preso alla lettera. Con i 10 Intermezzi siamo all'altro estremo della vita di Brahms, in tutti i sensi. A parte i due dell'Op. 76, appartengono a quella specie di "testamento pianistico" che va dall'Op. 116 alla 119, quattro cicli contenenti anche svariati pezzi (Capricci, Ballate, Romanze ecc.). Curioso che Gould tra questi gioiellini che il vecchio Brahms chiamava "la ninna-nanna del mio dolore", abbia scelto solo quelli denominati "Intermezzi", ma è proprio tra questi che si trovano alcune tra le più belle espressioni che la musica abbia mai dato a quella pacata rassegnazione di chi ormai ha fatto un bilancio della propria vita, quella calma senile e autunnale che tuttavia non è poi troppo distante dalla "serena malinconia" di chi, come Schubert, non arrivò mai alla vecchiaia.

È d'obbilgo citare almeno i tre Intermezzi Op. 117, dal costante tono elegiaco e dimesso, ma con la sensazione sotterranea di un fuoco di passione pronto a riaccendersi. Cosa che accade nel meraviglioso fraseggio centrale dell'Intermezzo n°2 Op. 118, che per certi versi ricorda le struggenti dichiarazioni d'amore in musica di un Brahms molto più giovane, quello dei Quartetti per pianoforte e archi. Una passione che trova sfogo in lacrime a dirotto nel mesto Intermezzo n°6 Op. 118. Inutile dire che Glenn Gould tratta questi delicati sentimenti con la sobrietà che gli è propria, senza violentarli con effetti spettacolari, ma è proprio per questo che questi quadretti sentimentali appaiono ancora più puri. Solo nelle 2 Rapsodie Op. 79 cede per un attimo alla tentazione di suonare "da pianista", come a lui non piace, e il bello è che ci riesce benissimo, sia pure senza mai strafare. Del resto queste due vivaci e colorate opere della maturità di Brahms nel piano del disco dovevano costituire una specie di riempitivo per raggiungere una durata adeguata, anche se è pazzesco pensare che due pezzi del genere, e suonati in questo modo, siano stati concepiti come "tappabuchi". Ma con Glenn Gould tutto era possibile: che suonasse Brahms, che lo facesse a modo suo oppure, se gli andava, in altro modo. In ogni caso il risultato era di una perfezione costante, e questo disco ne è l'ennesima conferma.

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