Mi piace chi osa e sperimenta, chi non si piega alle leggi di mercato, chi è anticonformista e segue le sue idee fino in fondo, chi spiazza l'ascoltatore e destruttura il pentagramma a sua immagine e somiglianza perché sa quello che sta facendo e ha i mezzi per farlo.

Mi piace John De Leo..

Forse perché ha una faccia da prendiperilculo, un po' pazzo, eclettico, sicuro di sé con quello sguardo ironico e sfacciato mentre ti squadra da capo a piedi aggrottando un sopracciglio e sollevando l'altro.

Con i Quintorigo, uno dei gruppi italiani più interessanti degli ultimi anni, dove si fondevano sperimentazione, jazz, rock, reggae, funky, blues in una realtà musicale alquanto strana fatta solamente di archi, fiati e voce, ha inciso album di difficile catalogazione, come "Rospo" o "Grigio", ha partecipato due volte a Sanremo, vincendo anche premi per arrangiamenti e critica, ha vinto il premio Tenco ed è salito sul gradino più alto del podio ad Arezzo Wave.

Si è fatto notare, ma non troppo, per il fatto di possedere una delle voci più versatili, calde, taglienti, camaleontiche, duttili e incredibilmente estese che il panorama italiano ricordi dai tempi del compianto Demetrio Stratos, ma questa è un'altra storia..

Nel 2005 il buon De Leo saluta tutti, mette le sue cose in un fagottino a quadretti bianchi e rossi, lo lega all'estremità di un bastone e si avvia, solo soletto, alla scoperta del mondo.

Da quel momento in poi non se ne sa più nulla, a parte qualche uscita insieme all'amico ed ottimo chitarrista Fabrizio Tarroni, che lo accompagnerà anche in questa prima avventura solista "Vago Svanendo".

In questo primo lavoro del poliedrico e folle artista troviamo idee e composizioni che, nello standardizzato panorama musicale italiano, sembreranno obsolete e incomprensibili ai più, ma, alle orecchie di chi ne ha un po' pieni gli zebedei di D'Alessio, Pausini, Ferro e compagnia bella, troverà piacevolmente sorprendenti e finalmente distanti anni luce da quello che di solito ci propinano le radio o i soliti canali musicali.

Troveremo composizioni jazz con orchestra di 25 elementi ("Big Stuff", rivisitazione di un classico di Leonard Bernstein), oppure pezzi arrangiati con strumenti giocattolo e linguaggio rimaneggiato per bambini ("Bambino marrone") dove, per far capire il genio e sregolatezza di De Leo e soci, i suoni gravi del basso elettrico sono stati ottenuti montando un pick-up per chitarra elettrica su di una chitarrina giocattolo e utilizzando un octaver, per abbassare la tonalità delle note.

In "Tilt" il tempo è ottenuto percuotendo il clarinetto basso e sfruttando il rumore che si ottiene aprendo e chiudendo le chiavi dello strumento a fiato, mentre in "Freak Ship" il campionamento della voce di John in ogni sua possibile forma, è stato coadiuvato da un ventilatore per avere un effetto Anni '60 e da un karaoke giocattolo.

A queste undici tracce che si legano perfettamente l'una all'altra anche se con arrangiamenti e ritmi completamente diversi, si unisce un dvd con monologo di Alessandro Bergonzoni, vari cortometraggi e galleria fotografica.

Sicuramente non entrerà in classifica dei dischi più venduti, sicuramente in pochi apprezzeranno gli sforzi e il valore artistico di questo strano personaggio e del suo entourage.. Io sinceramente vi consiglio almeno due o tre ascolti (uno non basta sicuramente per inquadrarlo, non stiamo parlando di Ramazzotti...) e vi consiglio di spendere qualche euro per far sì che musicisti come questi continuino la loro opera di "svecchiamento" e innovazione dello sbiadito e povero panorama musicale italiano.

Una volta un mio amico mi ha preso da parte e mi ha detto "Senti qua, sono i Quintorigo e il cantante si chiamo John De Leo, per me è il Mike Patton Italiano...".

Dapprima ero un po' scettico, poi, con il tempo e parecchi ascolti non ho potuto che dargli ragione..
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