Lo spacciatore di fumetti è una figura importante nella crescita di un uomo sano e con saldi principi morali, non nascondiamocelo. Ai tempi in cui ero sbarbatello nel mio giro di intrippati di fumetti passava nelle mani della gran merda. Soprattutto merda giapponese e americana, nord americana per la precisione, anzi, merda statunitense, nel campo dei fumetti è proprio il caso di essere precisi. Va beh, è superfluo dire che passavano anche dei gran pornazzi (le edizioni squalo), ma quella è un’altra storia, anche se non è proprio vero perché anche in quel settore c’era gente che sapeva fare alla grande il proprio mestiere (es. Leone Frollo). Tornando con la mente a quei tempi mi ricordo di uno spacciatore in particolare che passava roba che oggi considererei veramente di prima qualità. Allora la consideravo solo ‘particolare’ perché come ho detto mi piaceva ingolfarmi le pupille con la merda. Lui smerciava Magnus, Pratt, Moebius, roba sudamericana, Lancio Story, l’Eternauta, Asterix … Grazie a lui mi sono fatto una cultura sui grandi delle strisce. Aveva una collezione di libri raccolta di un fracco di pagine (credo li pubblicasse l’Einaudi) con montagne di strisce su cui era possibile fare scorpacciate di un determinato autore.
A me piaceva un mucchio B.C., molto più dei Peanuts. Con le strisce di Schulz mi rimaneva appiccicato alle meningi un retrogusto malinconico che mal digerivo. Non è che il retrogusto malinconico non mi piaccia, anzi, però quello dei Peanuts a quei tempi non faceva per me, fucilatemi pure. Nelle strisce di Johnny Hart percepivo un unico livello, quello della battuta secca. Per me tutto si risolveva in quelle vignette e la cosa mi piaceva. Mi è capitato di leggere altre recensioni su B.C. e pare che mi sia perso per strada un meta-livello di comunicazione, sarebbe dovuto arrivarmi infatti anche un po’ di paura e pessimismo per il futuro collegati con il progresso. Me li avrebbe dovuti trasmettere l’umorismo surreale che all’autore era possibile esprimere nella particolare ambientazione congegnata. B.C. è ambientato nella preistoria appena dopo la scoperta della ruota, l’utilizzo del fuoco e l’invenzione di una moneta per gli scambi: le conchiglie.
Sia benedetta la mia testa di legno, ciò non è accaduto.
A dirla tutta, non era neanche quel particolare humour ad attrarmi, roba anglosassone, non ricordo neanche se su quelle edizioni fossero riusciti a renderlo bene (è un po’ che non lo leggo, ma qualche battuta spassosa me la ricordo ancora). Ciò che mi attirava, come mi capita con i fumetti in generale, era lo stile nel disegno, il tratto. Hart riusciva a risolvere tutto con poche linee, essenziali, ed il risultato era bello. Come diavolo faceva? Se ci provavo io a fare quattro righe il massimo in cui potevo sperare era un quadrato e vi assicuro che me la cavo nel disegno. Ammiravo le sue linee decise, senza tentennamenti, senza staccare la linea dal foglio, pienamente consapevoli. Ci consumavo le pupille sopra.
Avere uno stile grazie che permetta di asciugare, di togliere più di quanto possa permettersi di togliere qualsiasi altro disegnatore per arrivare allo stesso risultato, questo credo sia il segreto su cui debba riuscire a mettere le mani ogni autore di strisce. La bellezza nell’essenziale. La perfezione è semplice e la semplicità è elegante. E certamente l’eleganza è una delle cose di cui si può godere leggendo strisce di fumetti umoristici. Queste cose ho imparato ad apprezzarle grazie a Johnny Hart.
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