C’è qualcosa di trascendentale nel nuovo album di Jon Hopkins. Un viaggio di trasformazione e liberazione, che va dall’iniziale senso di frustrazione sullo stato del mondo contemporaneo alla conclusione definitiva che il vero senso di pace può provenire solo dalla natura.

Il dj e compositore londinese Jon Hopkins, classe 1979, ha passato un periodo nel deserto sotto l’effetto di sostanze psichedeliche per arrivare alla composizione delle tracce che compongono Singularity. Un album visionario, che esplora gli stati della mente, i suoni della natura nudi e istintivi in netta contrapposizione con i suoni calcolati e sintetici delle architetture urbane.
Singularity è strutturato per essere ascoltato dall’inizio alla fine senza alcuna interruzione, senza distinzione tra le varie tracce. Se nella prima mezz’ora del disco, dalla spettrale e claustrofobica title-track alla lunghissima ed epica “Everything Connected” passando per la rumorosa e splendida “Neon Pattern Drum“, spicca la propensione al clubbing, alla techno minimale, alla meticolosità robotica e schizoide della musica elettronica, nella seconda metà del disco l’apertura sconfinata della natura prende il sopravvento, così come divengono protagonisti pianoforte, tastiere leggere nella delicata traccia “Feel First Free“, musica ambient dai forti connotati ancestrali e puri che esplodono senza far rumore nell’impalpabile beat di “Luminous Beings“. Musica techno che si amalgama all’ambient e ai richiami di musica classica. Dispotismo urbano e tecnologico che si immerge nel millenario suono spaziale della natura più viva e incontaminata.

Il suond di Jon Hopkins è multistrato. Layer su layer, beat su beat, glitch su glitch, musica computerizzata che crea il solido corpo di Singularity, ben saldo e strutturato. L’anima di questo corpo perfetto sono le melodie che crescono, si moltiplicano, si fondono l’una nell’altra. Arpeggi su arpeggi, tasti di piano che come le stelle nel cielo notturno si distribuiscono nel cosmo sconfinato e donano bellezza, luce, magia. Singularity è fragoroso, catartico, spettrale, viscerale, onesto. Tutto è perfetto, ogni brano che si immerge nel successivo obbliga l’ascoltatore a godere della bellezza del disco tutto in una volta, lentamente e ad occhi chiusi. Il pianoforte culla le nostre sinapsi in una via lattea fatta di note, di ritmi, di suoni che dal centro della terra risalgono fino a volare nel cielo blu e infinito.

Singularity è affine, nei beat urbani e sintetizzati, alla musica di Moderat, Burial e Trentemøller e allo stesso tempo si avvicina alle aperture neoclassiche di Brian Eno e Hans Zimmer. Un ascolto che va dosato, centellinato per godere veramente della sua sconfinata bellezza. Sdraiati a terra immersi nel silenzio, o in treno mentre si attraversano campagne, città, giorno e notte. Un album dance che ci fa muovere e riflettere, un album ambient che ci smuove da dentro emozioni ancestrali e recondite nel nostro io interiore. Singularity è il contatto con la natura che ci salva dal decadimento della società contemporanea, è l’ascensione al cosmo per redimerci dall’urbanizzazione che ha cancellato ogni nostro passato contatto con la natura. Singularity è il culmine della carriera di un musicista perennemente in evoluzione e alla ricerca del suono perfetto, senza però tralasciare mai l’emozione e l’istinto.

Jon Hopkins ha trovato la formula vincente con questo disco da brividi, un capolavoro di elettronica microhouse e ambient che ci immerge in un liquido amniotico caldo e accogliente, in un universo ancora incontaminato, in un mondo fatto di natura e silenzio che ci riporta coi piedi sulla nuda terra che ci ha dato la vita. Singularity è un capolavoro musicale senza tempo e senza spazio, dove ogni singolo suono dona sensazioni pure e melodie da brividi. Un disco spettacolare, dove tutto è incastrato in modo perfetto e ragionato, ma in cui a prevalere sono le autentiche emozioni.

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