"Quando ti educano come hanno educato me e la maggior parte della gente in questo paese, ti assicuro che nessuno ti viene a parlare di omosessualità oppure, come dite voi, stile di vita alternativo. Da bambino ti insegnano che i finocchi sono strani, i finocchi sono buffi, i finocchi si vestono come la madre, che hanno paura di battersi, che sono... sono un pericolo per i bambini, e che vogliono solamente entrarti nei pantaloni. Questo riassume più o meno il pensiero generale, se vuoi proprio sapere la verità." Joe Miller

Jonathan Demme nel '93 realizza il seguito del suo celebre e grande "Il Silenzio Degli Innocenti", questa volta cambiando totalmente genere e concentrandosi non sulla trasposizione visiva di un romanzo Thriller, ma su 2 temi sociali tra i più seri e tragici degli anni 90 e in generale del secolo: l'AIDS e l'omosessualità e tutto ciò che ne consegue, tra pregiudizi, ghettizazioni e discriminazioni di ogni tipo. Ambientando la vicenda a Philadelphia.

"Philadelphia, city of brotherly love. Brotherly love..." per usare le parole della stupenda canzone di Neil Young da lui scritta proprio per l'occasione e che rappresenta (insieme al quasi omonimo pezzo del Boss) l'apice della meravigliosa colonna sonora del film.

Philadelphia dunque, la Philadelphia della continua ricerca d'integrazione e convivenza tra diverse razze ed etnie, come raccontano le immagini d'apertura di questa pellicola. Ma la Philadelphia che rappresenta, simbolicamente, in questo caso, tutta una nazione e una cultura: quella dell' ipocrita e bigotta America, delle sue contraddizioni e i suoi pregiudizi.

Andrew Beckett (Tom Hanks) è un giovane avvocato in piena ascesa professionale, al culmine della sua carriera. Ad un certo punto, cominciano ad apparire sempre più numerosi e sempre più evidenti lividi sul suo viso e le sue condizioni di salute peggiorano. Complice un imprevisto- l'improvviso e misterioso smarrimento di un importante ricorso legale cui era stato appena nominato responsabile in quanto avvocato- i superiori lo piantano in asso prendendo come scusa una presunta negligenza lavorativa. Da subito i reali motivi sono però chiari e riconducibili non al fatto presunto ma all'inizio della sua malattia (l'AIDS appunto). Benchè non ne abbia mai parlato con nessuno esplicitamente, quei segni sul viso avevano lasciato il segno (scusate la ripetizione) anche sui suoi superiori, in virtù di esperienze passate. E la scoperta, per loro conseguente, della sua omosessualità ha completato l'opera.

L'affannosa e vana ricerca di un avvocato che lo aiuti ad intentare causa nei confronti dei suoi licenziatori verrà premiata, dopo 9 rifiuti da parte di altrettanti avvocati, da Joe Miller (Denzel Washington), collega con cui aveva anche avuto una collaborazione, testimoniata all'inizio del film. Miller non è però affatto imperneabile ai pregiudizi di tutti, sia per quanto riguarda il male che l'omosessualità, tanto che inizialmente anch'esso rifiuta.

Il regista punta l'obiettivo da subito sugli sguardi della gente: gli sguardi del pregiudizio. Gli sguardi della paura e gli sguardi della solitudine- quella del protagonista. Gli sguardi della gente sospettosa prima e prevenuta dopo. Sguardi (e atteggiamenti) che faranno cambiare idea all'avvocato Miller, resosi conto, dopo un incontro casuale, del trattamento esterno nei confronti del neo-contagiato. Dei pregiudizi tanto stupidi quanto anche reali e normali per l'epoca in particolare- cui lui stesso era, come detto, vittima. Del tutto esplificativa a riguardo la scena che vede l'avvocato chiedere al medico se il virus dell'AIDS fosse trasmissibile adirittura via aerea.

Per tutta la prima parte - in cui le scene si susseguono dopo diversi spostamenti di tempo: 9 giorni, 1 mese, 1 settimana, 2 settimane, 6 settimane, fino ai 7 mesi la fine dei quali segnerà l'inizio del processo, che diverrà anche un importante evento mediatico - l'obiettivo non è sullo sviluppo e il susseguirsi della malattia, quanto piuttosto proprio sulla cultura del pregiudizio e della prevenzione. Quei pregiudizi che "esigono la morte sociale che precede e a volte accelera quella fisica". Certo i cambiamenti sul volto e sul fisico del protagonista sono evidenti, ma la sceneggiatura e la regia non infieriscono sul drammatico evento. Fino alla fine quando, purtroppo, sarà inevitabile.

Memorabile e straziante quella che è, con tutta probabilità, la scena madre del film: quando Andrew, sempre più sfiancato e distrutto, piuttosto che preparare le risposte per l'udienza del giorno dopo con l'avvocato Miller, si lascia andare ad una commovente interpretazione ad autoimmedesimazione dell'aria della Callas "La Mamma Morta". Forse eccessivamente spettacolare e strappa-lacrime, ma estremamente drammatica e coinvolgente. Oltre che per le fasi più drammatiche del processo con un Andrew a testimoniare in fin di vita; un processo che celebra in realtà "l'odio della gente, la nostra ripugnanza, la nostra paura degli omosessuali"

Per quanto forse prevedibile e scritto, il finale rimarrà estremamente e sinceramente commovente e struggente, a seguito della conclusione della causa. Quando, dopo il lato giuridico, verrà raccontato e svelato soprattutto il lato umano. Quando quegli sguardi di cui parlavo in precedenza diverranno gli sguardi finali, dei familiari e di Andy.

Tom Hanks si impone come uno dei più grandi interpreti dell'ultimo ventennio con una gigantesca prova, la sua più grande in assoluto, o insieme a quella contemporanea in "Forrest Gump". Non a caso vincerà la sua prima statuetta- meritatissima. Denzel Washington, attore per la quale ho sempre provato grande stima, dal canto suo si propone assolutamente all'altezza del suo ruolo anch'esso con una grande prova, ma certamente in confronto ad Hanks rimane sminuito. Si segnala anche il più che ottimo Banderas, nel ruolo del compagno di Andy.

Opera che finisce forse per peccare a tratti di retorica, per quanto riguarda in particolare il discorso sugli omosessuali in aula e di un lieve, quanto inevitabile, romanzamento finale. Ma che comunque si mantiene su un lato di ottima realisticità nei bigottissimi e ipocriti States e che riesce nell'intento di far riflettere e sensibilizzare su dei temi tragici quanto importanti e vitali all'ordine del giorno negli anni 90 più che mai.

Pellicola che- costruendo questo parallelo voluto e cercato tra 2 colleghi dal diverso colore, proprio per accentuare l'aspetto culturale della vicenda- è diventata un cult dei '90, riuscendo anche a conciliare successo di critica, pubblico e Academy- per quanto questi 3 fattori possano essere importanti e rilevanti nel giudizio di un film. Anche grazie al suggello di una colonna sonora fantastica ed azzeccatissima, dominata, come già accennato, dalla bellissima e celeberrima "Streets Of Philadelphia" di Springsteen (pezzo premiato anch'esso con l'Oscar) e conclusa con l'ancora più meravigliosa "Philadelphia" di Neil Young, film probabilmente tra i più celebri degli anni '90.

Opionione e consiglio personale: film da vedere assolutamente da soli.

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