E’ mio desiderio caricare su questo nostro carro le poche pubblicazioni della Mitchell ancora latitanti. Cominciamo con questo disco del 1988 e quindi in piena era di batterie finte, tastiere FM, riverberi sbagliati (…e spalline sulle giacche, ciuffi impomatati, permanenti riccie e fuseaux…).

Quest’ambaradan ottantiano s’infiltra in qualche modo nell’arte della Mitchell, ma non in maniera grave. Il disco risente dei tempi ma, vivaddio, solo di striscio: le musiche presenti sono sostanziose, godibili e talvolta preziose, appena piegate all’aria estetizzante di quei tempi.

Joni è in mezz’età (45 anni), da un pezzo non è più l’ingenua e problematica fanciulla che si aggirava per Los Angeles colla sua chitarra insuonabile dagli altri (perché accordata come pareva a lei), facendo perdere la testa a tutti. Qui è una bella signora bionda dal tipico prognatismo scandinavo, nel pieno del suo matrimonio col suo bassista e produttore Larry Klein, durato una dozzina d’anni.

Il “Segno di gesso in un temporale” è l’album “socializzato”, “allargato” per eccellenza della canadese. Qui è là infatti vi lasciano camei colleghi illustri e in qualche caso persino inaspettati: Peter Gabriel, Don Henley degli Eagles, Steve Stevens e il suo boss Billy Idol(!), Wayne Shorter dei Weather Report, Tom Petty, Benjamin Orr dei Cars, Willie Nelson, Wendy e Lisa dei Revolution di Prince, l’attore pellerossa Iron Eyes Cody, Thomas Dolby.

L’album quindi è molto… “ricco”, speziato, con tutta questa gente dalla forte personalità a contribuire. Il maritino Klein esegue un grosso lavoro di produzione nel mettere insieme tutte le tracce, ma soprattutto nell’organizzare le registrazioni in millanta posti. Per dire, Gabriel se lo sono andato a cercare e fissare su nastro a casa sua, a Bath, in mezzo all’Inghilterra.

Quindi una Mitchell molto “strutturata”, nell’occasione. Poca chitarra e poco pianoforte suoi: i brani sono stratificati, orchestrati, pieni; dominati dal drumming potente di Manu Katché (quando non ci pensano le batterie elettroniche, smanettate anche dalla stessa Joni) e rivestiti di classe dal basso simil Pastorius di Klein e dalla chitarra risonante, perfetta di Michael Landau, uno di quelli che “…altro che Clapton!…”, a voler polemizzare ancora una volta.

Per gli standard della Mitchell è un disco troppo rimasticato, quasi vanitoso per essere giudicato fra i suoi migliori. La sua dimensione ideale è giustamente un’altra, più raccolta e scarna, in cui quella voce sublime, quel suo pizzicare le corde su accordature assurde, quell’approccio al piano così armonico hanno tanto spazio per svettare.

Ma averne, di dischi così… Del resto lei di album scarsi non ne ha mai fatti, ed anche in questo caso vi è un bel sentire.

Elenco tracce e video

01   My Secret Place (05:03)

02   Number One (03:48)

03   Lakota (06:27)

04   The Tea Leaf Prophecy (Lay Down Your Arms) (04:54)

05   Dancin' Clown (03:53)

06   Cool Water (05:26)

07   The Beat of Black Wings (05:25)

08   Snakes and Ladders (05:44)

09   The Reoccurring Dream (03:04)

10   A Bird That Whistles (02:36)

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