Strane bestie i Live album...

Strani i motivi che portano un gruppo ad inciderli e pubblicarli... Strani pure i diversi modi che i fan hanno nell’ accoglierli... Insomma... Strano tutto.

A volte sono l’esempio più compiaciuto dell’autocelebrazione di un gruppo; in altri casi sono un modo per approfondire sperimentazioni, più semplicemente realizzabili dal vivo che non in studio (contaminazioni con orchestre etc...); in altri casi ancora sono fatti solamente per colmare il silenzio dovuto a un periodo di scarsa capacità creativa che fisiologicamente colpisce quasi tutti gli artisti (un modo come un altro per riempirsi le tasche con dischi inutili) e in altri (rari) casi sono la perfetta fotografia di un gruppo o di un artista nel suo periodo di massimo splendore.

Questo ultimo caso, solitamente, coincide con la pubblicazione, da parte del tal gruppo o del tal artista, del proprio primo live album, quando la vena creativa è nel pieno dello sfruttamento e l’umiltà risiede ancora nell’ animo di chi suona. Una cosa però è comune a tutti i live: si possono tutti considerare delle vere e proprie (delicate) prove del nove. Alcuni gruppi, infatti, non riescono a ricreare dal vivo la magia e quanto di buono espresso negli album in studio, mentre altri raggiungono, nei loro live, la massima espressione musicale, riuscendo addirittura a migliorarsi e a risultare molto più convincenti sul palco che non chiusi nella stanza di registrazione. I fan poi, in molti casi, si comportano in maniera diametralmente opposta tra di loro...
Chi aspetta con venerante attesa tutti i dischi live dei propri beneamini (per cercare di rivivere i concerti non “assaporati” in prima persona) e chi invece li snobba e li evita come fossero la peggiore delle malattie, convinti che i live non rendano onore alla musica e siano solamente uno spreco di soldi (con pochissime eccezioni).

Insomma... Ci sono live album che fanno pena e altri che, bene o male, fanno storia. Nell’ambito della musica Metal furono pochi gli album dal vivo che fecero parlare di se tanto quanto il magnifico “Unleashed in The East” dei seminali Judas Priest. Prima che il Metal diventasse un genere ben definito e quando ancora i primi gruppi (che successivamente diventeranno i porta bandiera del movimento metallico) dovevano dare alle stampe i primi album, i Judas Priest, con un carriera già solida alle spalle, diedero alla luce quello che viene da molti considerato il miglior live album del Metal tutto, nonché il primo vero e proprio Live prettamente Metal (e non Hard Rock) della storia...

Un album storico e incredibilmente riuscito, che chiude il ciclo iniziale (e a mio modesto parere migliore) della band di Birmingham in modo perfetto, e che riesce addirittura a donare alle canzoni proposte (già ottime negli album in studio) un’attitudine più aggressiva e un approccio più preciso e tagliente, spogliandole dalle influenze Rock-Blues presenti in studio e definendo in maniera più solida e completa l’universo Heavy Metal (e precisamente N.W.O.B.H.M.) che i Priest stavano contribuendo a creare. Veramente un album storico.
L’album viene registrato nel 1979 a Koseinenkin Hall e Nakano Sunplaza Hall in Giappone (dove la band raggiunse negli anni 70 la massima popolarità) ed è il riassunto perfetto della carriera dei Preti di Giuda fino al quel momento. Le tracce presenti sono tutte di un importanza immensa e di una bellezza sconcertante e ci donano una band nel suo massimo splendore creativo ed esecutivo. La prestazione dei singoli elementi è devastante (si inizia a capire e sentire in maniera più nitida la possente sezione ritmica e gli incredibili duelli chitarristici che diventeranno tipici della band) ma su tutto si staglia dominante e incontrastata la bellissima, inarrivabile, innovativa e potentissima voce di Rob Halford che dona al tutto un sapore fottutamente “stradale e violento”.

È incredibile il fatto che tracce come la terremotante ed energica “Exciter” (vera antenata di "PainKiller), la quadrata e veloce “Running Wild”, la Hard Rock oriented “Sinner” e la trascinante e perversa “Tyrant” risultino molto più cattive, diaboliche e pesanti (insomma più incredibilmente Metal) dal vivo che in studio. Una menzione particolare meritano, comunque, le oscure, gelide e “malvagie” “The Ripper” e “Genocide”, dove sonorità Sabbathiane si uniscono alla geniale violenza sonora tipica di Halford e soci.
Ma la palma di canzone capolavoro spetta di diritto a “Victim Of Change” con il suo incidere claustrofobico, i cambi di ritmo-umore e la magnifica voce di Rob che si lamenta sofferente come non mai (a mio avviso la miglior canzone dei Judas Priest). Addirittura le cover presenti, e precisamente “The Green Manalishi” e la stupenda “Diamond and Rust” (che considero la cover più riuscita della storia), rispettivamente di Peter Green e di Joan Baez, risultano talmente potenti, affilate e convincenti da farle sembrare repertorio originale Priest.

L’album non ha una sbavatura e non risente assolutamente del tempo trascorso (ben 27 anni), proponendo una “modernità assoluta” e una “freschezza genetica” che pochi lavori di quegl’anni possono vantare... Ancora oggi suona affascinante e trascinante come lo era quasi trent’anni fa. Incredibile. Bisogna dire però che, anche se le premesse e le caratteristiche per diventare il più bel live album di sempre c’erano tutte (canzoni stupende, produzione perfetta e ottima prova del gruppo), al tempo (e ancora oggi) molti considerarono “Unleashed in The East” come un qualcosa di artificiale e di costruito, accusando la band di una non-genuinità che risultava assolutamente indigesta per il successo di un disco dal vivo.
Sulla band, infatti, caddero accuse di ri-registrazioni in studio di molte delle parti suonate e cantate, tanto da portare molti fan a re-intitolare sarcasticamente l’album “Unleashed in The Studio”. La band e al produzione, nelle persone di Rob Halford e di Tom Allom, confermarono le voci “infamanti”, limitandole però alle sole parti vocali e spiegando che i ritocchi in studio risultarono necessari a causa di una brutta laringite che aveva colpito il buon vecchio Rob durante il tour nel paese del sol levante.

Personalmente credo che questo particolare, anche se rilevante, non scalfisca minimamente l’assoluta grandezza ed importanza del live in questione (la stessa band fu sorpresa dalla cattiveria dei propri fan su un accorgimento che consideravano del tutto normale e legittimo), ma anzi, arricchisce la mia stima verso una band che voleva regalare ai propri sostenitori un disco dove tutto risultasse perfetto (di certo le loro immense capacità nei live erano state già ampiamente dimostrate e verranno confermate anche successivamente).
Un live che ha veramente fatto storia e che considero inimitabile e inarrivabile per importanza e bellezza. Gli unici difetti che potrei trovare (sempre se di difetti si può parlare...) riguardano la scaletta delle canzoni: a mio parere troppo corta ed escludente alcuni pezzi veramente importanti (su tutti “Beyond The Realm of Death” ) e la voluta non sottolineatura del pubblico in delirio, che si sente veramente poco durante tutto il lavoro.

Insomma... Un live che è stato amato da molti e odiato da altrettanti... Sta a voi decidere da che parte stare. Io, personalmente, la mia scelta l’ho già fatta.

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