Dalla tragedia greca, dalle atmosfere epiche e cupe che Julia Holter ha saputo creare e reinterpretare nei precedenti lavori, ecco l’approdo ad una musica che potrebbe essere definita più immediata. Non siamo nel campo dell’easy listening nonostante queste aperture a soluzioni melodiche più serene, solari. Il suo approccio è di largo respiro, anche negli episodi più drammatici in cui si legge smarrimento e vertigini, è così in “ How Long?” , terza traccia del disco, preceduta da due brani (“ Feel You” e “ Silhouette”) dai toni più rilassati e distesi e con quell’aura trasognata che tanto affascina e cattura al primo ascolto.

“Lucette Stranded on the Island” è un fulgido esempio di ricerca sonora mai sterile e sfrenata solo per il gusto di abbagliare tutti.

La grazia di Julia Holter, la sua capacità di muoversi con disinvoltura in tanti campi e registri musicali diversi è notevole. L’apice del pathos, dell’emotività e dell’energia non coincide mai con l’eccesso di questi elementi, tutto è misurato e scorre con fluidità e dolcezza, senza strappi, cambiamenti improvvisi d’atmosfera e inutili acrobazie d’artista.

In “Everytime Boots” c’è il gusto per il ritmo e l’artista appare divertita e sicura di sé anche sotto queste vesti insolite e più colorate rispetto a quelle consuete.

In “Betsy on the Roof” si ritorna indietro, letteralmente, agli scenari descritti più sopra, quelli più tragici e ricchi di visioni.

Da questo viaggio si esce estasiati, accompagnati per tutto il tempo da una voce altamente espressiva e ricca di accenti, dalle distorsioni e i suoni liquidi del penultimo brano “Vasquez” in cui la strumentazione rimane a tratti d'orchestra, con incursioni elettroniche.

“Have You in my Wilderness” chiude l’opera con sentimenti contrastanti, anche la cornice musicale suggerisce questo tormento insieme alla dolcezza e al senso dell’armonia che pervade tutto il disco.

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