La dolce permanenza di una luce appena nata e già morente.
Come un timido e nascituro bruco, già intrappolato nei fili di una ragnatela.
Tra arbusti e querce secolari, tra occhi che hanno vigilato su fuggevoli spartiti di quella Eternità.
Il fluire profondo e senza tempo della Vita.
Nel silenzio il battito ed il calpestio dei rovi di quella foresta verde smeraldo. Vagando tra i sentieri di quel Bosco, perché li come tra i Cieli vi sono le risposte.
Tutto questo e molto molto altro di arcano nel suono magico e minimale di Friar Truck, ultima pagina di Saint Julian Cope. Oppure spiegato nella modalità alchimista dell’ Arcidruido «La musica di un universo parallelo sospesa nel tempo e suonata su una radio vecchissima». In effetti il nostro vuole ricordare ai noi umani, con la sua essenza dispersa multi lateralmente tra le rocce della antica contea di Nottinghamshire, tra gli imponenti cromlech millenari di Stonehenge, tra i culti dimenticati della religiosità in epoca prenuragica, tra i bagliori spaziali della Carousel Lens, di essere ancora tra noi, nonostante tutto.
12 essenziali gemme ripercorrendo a ritroso la Genesi, le giovanili turbolenze con Ian Mc Culloch, i primi splendori post punk con i Teardrop Explodes, gli acerbi Kate St John all'oboe e al corno inglese e Skinner alla chitarra, quello shake disinvolto del folk sixty con il garage rock. Quell’irresistibile e stralunato songwriting con le matrici psichedeliche e Kraute, quel dolce schiocco delle dita che trasforma il Rospo in Principe del Pop Rock in quota Major, quel mondo che deve solo chiudere la bocca e mettere la testa tra le nuvole. Le brillanti allucinazioni di Droolian e Skellington, Julian come una toXic Barbie in grado di calibrare perfettamente deragliamenti mentali e dinamiche pop. L’insofferenza verso l’ancien ed il nouveau regime, quello della Thatcher e quello delle Majors. E da qui il Cope più sperimentale, l’angelo oscuro e vendicatore; colui che esce dal solco, dal solco dove sono i semi messi a germogliare. Fuori da quel solco può germogliare solo l’imprevedibilità, ovvero il Floored Genius. La follia. L’arte che è talmente estrema da non essere più tale, perché è ormai una casa che racchiude la sofferenza, senza porte e finestre. L’arte condannata a negare sé stessa, tendendo al silenzio o all’epilogo finale.
E da quel silenzio il rinnovato cantico in 12 nuove essenziali gemme, che ristabiliscono un ponte con il vecchio concept creativo del nostro, con l’ opener ballad folk di Too Freud to Rock n' Roll, Too Jung to Die (vecchio titolo di un LP della sua band Brain Donor del 2003), una rispolverata del riff classico tipico di Interpreter di The Dogshow Must Go On.
E’ proprio vero Saint Julian.
Noi che il dolore ha fatto viaggiare nella nostra anima alla ricerca di un luogo di calma a cui appoggiarci, alla ricerca della stabilità nel male come gli altri nel bene, noi non siamo folli, siamo dei medici meravigliosi.
Carico i commenti... con calma