"Basquiat" è un film del 1996 di Julian Schnabel che racconta una parentesi della vita dell'artista afro-haitiano Jean Michel Basquiat, famosissimo graffitista deceduto a soli 27 anni per overdose di eroina.
Al servizio di questo regista esordiente c'è un cast di prim'ordine e una colonna sonora da urlo.
Interpreta Basquiat il semisconosciuto Jeffrey Wright, mentre il camaleontico David Bowie impersona Andy Warhol. Presenziano Gary Oldman, Christopher Walken, Benicio Del Toro, Willem Dafoe e Dennis Hopper, in parti periferiche ma intense, un po' più centrale alla storia Claire Forlani, dallo sguardo malinconico ed il corpo esile, che interpreta la compagna dell'artista.
In questa abbastanza riuscita cinebiografia si accenna a grandi balzi ad un periodo di vita dell'artista, dai 20 ai 24 anni, i suoi rapporti complessi ed alterni e la sua sensibile introspezione.
Viene messo in evidenza discretamente bene il suo mondo visionario, fatto di surfisti tra le nuvole ed il rapporto di amore odio con NewYork, città da cui vorrebbe scappare per vivere a Maui (isola della Hawaii), ma luogo nel quale nasce, cresce, vive ed esplode artisticamente ed infine muore di overdose.
Città come mezzo di comunicazione, dove Basquiat denuncia ciò che vede e percepisce, e tramite il graffito si esprime alla massa. Samo salta da una parete all'altra come una scimmia che vaga sugli alberi della giungla e apparentemente non ha mai meta.
Sui muri solo scritte. Sulle tele finiscono invece concetti complessi, ed il regista ci tiene ad evidenziare il malessere che traspare dalle opere, come d'altronde nell'immaginifica intervista di Walken all'artista, ormai all'apice del successo, che a parole proprio non riesce ad esprimersi. Sono le opere a farlo. Alla domanda del giornalista "Ma lei dove trova i suoi simboli?" Basquiat risponde "Lo chiederebbe a Miles dove trova le sue note?".
Bene inquadrato il rapporto complesso, confuso ed alterno coi galleristi, che se lo contendono a suon di esposizioni internazionali. Malamente inquadrato, e qui sarebbe stato divertente giocarvi, il rapporto con Andy Warhol. Lo spettatore è appena sfiorato dall'intimità che tra i due si viene a creare. Il massimo che il regista fa (o può fare) è mostrare un loro pomeriggio di pacifica convivenza artistica dove Basquiat interviene sulle opere di Warhol senza che quest'ultimo ne abbia a male. Basquiat dipinto come essere solo (in cerca di una collocazione sociale, sia da povero che da ricco) che paga immensamente la scomparsa dell'amico artista, probabilmente uno dei pochi con cui si era creata simbiosi, uno dei pochi a "non avere bisogno di lui".
Fantastico Bowie/Warhol, contenuto e sommesso. L'attore-cantante scompare dietro il personaggio evidenziando la sua arte di trasformista eclettico, presentando una creatura complessa e raffinata.
Colonna sonora importante tra cui spiccano diversi brani: struggente Tom Waits nel classicone "Tom Traubert Blues", "Hallelujah" di John Cale, e il grandissimo Miles Davis con "Kind Of Blue" sempre nelle orecchie di Samo/Basquiat. E ancora Joy Division, PJ Harvey, Van Morrison e tutti contribuiscono a profumare l'altmosfera newyorkese, onirica e ovattata che Baquiat viveva con insolente leggerezza mentale.
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