Ripetersi sui livelli dell’ultimo disco Velociraptor! è un’impresa non di poco conto, ma i Kasabian si difendono bene e tornano con 48:13, che senza mezzi termini Serge Pizzorno, chitarrista e songwriter dell’ormai famosissimo gruppo di Leicester, ha incoronato come il loro miglior album; la classica frase ad effetto che ci si aspetta da musicisti dall’alto ego come Pizzorno in vista di una nuova uscita discografica.
L'album regala comunque pezzi ad effetto e terribilmente catchy - forse anche troppo - ma il frontman Tom Meighan riesce sempre a interpretare bene basi vocali di ottima fattura – scritte sempre a quattro mani col compagno italo-inglese, guai a tergiversare su ciò - e le tracce riescono a funzionare anche imponendosi con un sound ai limiti della psichedelia. Dopo l’intro “(Shiva)” il primo brano ad effetto, in tutti i sensi, è “Bumblebeee”, che richiama lo stile caotico degli esordi, un antipasto rispetto al primo grande pezzo da Kasabian, quella “Stevie” che azzardo sarà un brano destinato ad essere estratto come singolo, nonché cavallo di battaglia dal vivo, anche per spezzare dall’ immagine eccessivamente commerciale del disco offerta con la pubblicazione del singolo “Eez-eh”.
“Doomsday” e “Treat” sono i classici brani dove la band riesce ad esprimere il suo lato ‘tamarro’, campionando pesantemente e contaminando il sound con effetti psichedelici da space pop. Non mancano brani meno diretti e un po’ più contorti come “Glass” e “Explodes” che paiono cantati da Pizzorno – aspettando per conferma ciò che dice il booklet del disco – il quale non ha mai nascosto di voler fare la prima donna, e a questo giro la cosa gli riesce più che bene.
Presenti all’ appello anche dei revival anni ’60-70 ormai marchio del gruppo come “Clouds” e non manca nemmeno il pezzo già pronto per essere remixato e fatto girare dappertutto quale è il già citato singolo “Eez-eh”, a primo udito quasi inascoltabile per l’approccio irriverente con cui la band si interfaccia con la musica pop, ma d'altronde i ragazzi non hanno mai nascosto la loro passione per la techno e il pezzo alla lunga è gradevole. In chiusura l’ottima “Bow”, anche in questo caso le corde vocali sembrano di Pizzorno, che ancora una volta rivisita tutto e rimescola le carte.
Forse è proprio in questa mancanza di omogeneità che risiede uno dei pochi punti deboli di questo disco che per approccio e qualità non stecca, ma che presenta molti cambi repentini di genere e diverse sperimentazioni, ma allo stesso tempo 48:13 appare a suo modo una parte di un grande puzzle quale è la carriera dei Kasabian e che ormai ci abitua ad ogni uscita a pezzi che si incastrano perfettamente creando un disegno, un prodotto, un risultato che oggi è senz’altro tra i più originali e vincenti nell’intera scena rock mondiale.
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