Aprile è un mese adatto. Adatto per riscoprire, riscaldare, ricordare. Gli anni passano veloci, e quando si superano i trenta, il mondo corre. Tutto corre. E tu sopra il mondo. Ti sembra quasi di sentire l’aria tra i capelli, per la velocità. Tra la mattina e la sera c’è un intervallo più breve, più fugace, più monotono. Bé, certo, in realtà il tempo è oggettivo. Almeno dovrebbe essere così. Un giorno è sempre durato ventiquattro ore. Invece, alla mia età, qualche giorno sembra durare 6 o, quando va bene, 7 ore. Ma non è stato sempre così. No.

C’erano giorni che duravano un’eternità. Giorni caldi, pieni di colori e profumi. Giorni così lunghi che sembravano durare una vita intera. Erano i giorni delle prime passioni. E sì. Quei giorni sembra che il tuo essere più vero si stacchi da te stesso e se ne vada a spasso beato in un mondo sospeso e irreale. Quei giorni in cui hai un cuore grosso come un cocomero. Sei vivo! Lo senti, lo sai, lo vedi. E poi c’è lei, non vuol saperne di lasciarti in pace, un secondo, senza il suo pensiero. Perché, mentre fai la versione di latino, rimani imbambolato per mezz’ora e, dentro di te, sei stato via una vita intera. Perché, mentre ti radi, guardi lo specchio e vedi uno che ride. Come può essere? Io non sto ridendo! Si, lo sai. Ma non lo ammetti. “Che cazzo! Sono un uomo io.” Lo comprenderai solo molti anni dopo. Quando il tempo correrà veloce. Come un grigio treno merci. Ma ora no, ora c’è lei a fermare tutto. Un limbo infuocato. Dicevamo, aprile. Certe volte, con il calore di queste giornate assolate, torna almeno il desiderio di ricordare quegli impeti, quegli ardori. Fermare ancora una volta il tempo.

Fortuna vuole che ad un grandissimo dei nostri giorni venga il desiderio di suonare il piano per la moglie, in casa, da solo. E lo registri. E noi, poveri trentenni che dovessimo per caso mettere le mani su questo capolavoro potremmo tornare a dilatare il tempo. Magicamente, una volta ancora. “I Love You Porgy” e “I Got It Bad and That Ain’t Good” di Duke Ellington suonano soffici, ovattate, discrete. Si sente, traspira, trasuda cosa vuole trasmettere Keith a sua moglie. Una serenata, questo è. Una serenata suonata in camera. Privata, intima, suggestiva. E noi, con queste canzoni, voliamo ancora con i nostri sentimenti dimenticati. Keith, suona Gershiwin, “Someone To Watch Over Me”, lo interpreta, lo addomestica come un domatore oramai vecchio ed esperto col suo leone. Le note si susseguono solitarie ed, a differenza di altri lavori di Jarrett, qui c’è solo lui ed il piano. Un’interpretazione magistrale, misurata, soft. Le note sono “piene”, ma leggere come l’aria, ci danno la sensazione quasi di vederlo Keith suonare curvo, in penombra, per la sua donna. Il tempo si è fermato. Vecchie canzoni come “Be My Love”, brani tradizionali come “My Wild Irish Rose” richiamano le nostre “cotte” alla memoria. Come aprile.

Tutto fermo. Silenzio, musica, calore ed un dolcissimo peso sullo stomaco. Nulla più.

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