Il destino è a volte strano e imprevedibile: colui che ha autenticamente tracciato le coordinate dell'organo in ambito hard rock, è un... chitarrista.

Gli era che al giovane Hensley non capitavano altro che ingaggi in gruppi già a posto per quanto riguardava la sei corde. Nei Gods, anno 1968, c'era già Mick Taylor figurarsi, un "manico" che levati; che se Mick si fosse poi trovato un gruppo più democratico degli Stones, ci avesse dato dentro con meno timidezza e soprattutto avesse tirato qualche tonnellata in meno di polvere bianca, a quest'ora sarebbe famoso come Clapton.

Nei Toe Fat, subito dopo, a Hensley toccò pure di coprire entrambi i ruoli, chitarra e organo; niente male ma per qualche motivo durò per un solo album. Quando, all'alba dei settanta, lo chiamarono a completare l'organico dei nascenti Uriah Heep, eccoti già in formazione l'inamovibile (è ancora lì!) Mick Box, ad indossare con competenza e fragore una grossa Gibson. Ken fu pregato di accomodarsi pressoché stabilmente sullo scranno dell'Hammond B3, arnese che comunque sapeva decentemente maneggiare, senza lontanamente esserne un virtuoso.

Ragionando però da chitarrista, e visto che era capitato con ragazzi che volevano suonare forte e pesante, pensò bene di tirare fuori subito dalla doppia tastiera quanta più cattiveria e drammaticità fosse possibile, smanettando sui registri ed aiutandosi con qualche scatoletta di distorsione pescata dalla sua sacca di effetti chitarristici. L'attacco di organo di "Gypsy", prima traccia del primo disco degli Heep, è un'istantanea, folgorante messa a fuoco di come si deve e si dovrà fare, a tramutare quel liturgico mobile in legno scuro ed il suo inseparabile socio amplificatore dalla tromba rotante, in un'eruzione di riff strapieni di grinta e attacco destabilizzante.

Saltando in avanti di tre anni, gli Uriah Heep sono ora al quinto disco, ci ha pensato Hensley a comporre l'ottanta per cento del materiale, per buona parte alla chitarra naturalmente. Soffre proprio di iper- prolificità... due dischi all'anno col gruppo ed ancora gli avanzano un sacco di pezzi, in particolare ballate visto che non è opportuno andare oltre le due/tre a disco se si vuol restare macho e tosti. Altra piccola frustrazione: Hensley è pure ottimo cantante, solo che come frontman negli Heep giostra un certo David Byron, che tiene quattro ottave di estensione vocale e timbro favoloso. No Way... è già andata grassa che in quei primi cinque album un paio di ballate e qualche frase qua e là le abbia potute interpretare, in aggiunta alle tonnellate di cori (splendidi), spesso in falsetto, eseguiti a sostegno ed arricchimento dell'inconfondibile suono Heep.

La soluzione, la valvola di sfogo, è un solo album. "Proud Words On A Dusty Shelf" esce alla chetichella nel 1973; è grossolanamente prodotto, mal distribuito e pubblicizzato e quindi non vende un tubo. Proprio un disco di urgenza, fatto di getto nei pochi ritagli di tempo, senza troppe pretese, per se stesso ma senza particolari pruriti solistici. Hensley sta benone (per ora) negli Heep ma non vuol rinunciare a pubblicare certe sue cose non adatte al gruppo e allora fa questa cosa quasi tutto da solo, tranne basso e batteria. E' un lavoro semplice, fatto di getto, la produzione è come detto poco rifinita, il tecnico ha il braccino corto con riverberi ed echi, c'è una piacevole atmosfera di fatto in casa, di naif.

E naturalmente è pieno di chitarre, acustiche in particolar modo perché è soprattutto con esse che Hensley ama comporre. E pieno di ballate, con il feeling Uriah Heep ben avvertibile, a dimostrazione del peso che la sua voce e il suo stile compositivo ed esecutivo hanno nella formazione. Le cose migliori sono "From Time To Time", semplice e lirica, con un bordone di minimoog che oggi fa tenerezza, poi "Black Hearted Lady" costruita su di un arpeggio discendente già sentito ma sempre irresistibile, nonché la pinfloydiana "Fortune", vera stranezza giacché il lavoro della solista nell'intro è spiccicato allo stile di David Gilmour, però succede che quando il tutto si acquieta e parte il lavoro delle chitarre acustiche, esse risultano precise sputate ad un passaggio di "Animals" (uscito quattro anni dopo): 1 a 1 fra lui e Dave, quindi!

Quando Hensley è al pianoforte, dimostra tutto il suo essere chitarrista, con un tocco assai macchinoso e schematico ("A King Without A Throne", "Cold Autumn Sunday"). "Rain" infine, è la stessa comparsa qualche mese prima in quel "The Magician's Birthday" fatto uscire coi compagni d'avventura: dove là vi erano il piano elettrico e la sublime voce di Byron, qui ora sono al proscenio il piano acustico e la bella voce di Ken, dapprima solitaria e poi, per l'ultimo ritornello, accompagnata da Hammond chiesastico a tutta manetta e cori gospel per un finale da Giudizio Universale.

Rispetto, gratitudine e ammirazione è quanto provo per questo compositore, arrangiatore, cantante, chitarrista, tastierista che ha insegnato a suonare e fatto innamorare del rock molta gente.

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