IL MIO AMICO ERIC
Rada barba incolta ed irsuta: quella pennellata grigia presente nei fumetti per fotografare i galeotti tanto per intenderci. Il sole cerca un pertugio nel finestrino mentre i suoni allungati dei clacson, distorti dalla distanza sempre mutevole, e gli abbaglianti intermittenti fanno da colonna sonora e da luci scenografiche ad un girotondo asfaltato volutamente mortale. Per undici volte va bene poi il suono acido di una frenata seguita da un bel contorcersi di lamiere metalliche fa apparire i titoli di inizio spettacolo.
Ogni dannato giorno ho un posto in prima fila ossessionato e accerchiato da numeri rossi con il meno davanti. Occhi speranzosi color sangue sopra ime e scure occhiaie di gente esausta che fa fatica ad arrivare non solo alla fine del mese, ma al 20. Questa crisi è nata dai genietti della matematica finanziaria. Quei 110 super magna lode cum bacio accademicus included che hanno inventato i malefici derivati e quelle banche che hanno erogato mutui su vastissima scala impegnandosi ben oltre il 100% senza preoccuparsi di verificare la capacità di rimborso da parte della clientela accecati dall‘utile. Anno dopo anno. Se tutto fosse finito con un bel palo di dimensioni apocalittiche nelle parti basse di suddette amebe, spettabili ed intoccabili agenzie di "rating" comprese. Ma ovviamente no; intrecciato come è il mondo il domino effect era inevitabile. La loro caduta ha fatto impazzire il mercato. Panico e zero liquidità. E questo ha avuto ripercussioni sull'economia reale di tutto il mondo. E così tu, che non sai nemmeno che cosa cazzo sia la finanza e che te ne stavi in culo ai lupi ad almeno un paio di Jules Verne di distanza da tutto ciò e avevi il tuo lavoretto più o meno tranquillo e soddisfacente. Tu, che avevi un mutuo basato su quello che credevi essere un lavoro solido e duraturo, la prendi senza se e senza ma proprio lì. In culo. Ora ci dicono che tutto sia finito, che ci sia il sereno, là dietro le nuvole ma la salita sarà lunga e lenta: perché la gente si è scottata ed i consumi saranno contenuti e le aziende per evitare di chiudere taglieranno ancora. Intanto le banche più grosse sono riuscite con un rush finale negli ultimi mesi a staccare con la fine dell'anno premi da capogiro per i loro manager. Mi sembra giusto.
Buon Natale.
Sì tutte queste righe probabilmente, anzi senz'altro, sono troppe e forse fuori luogo per dire una cosa banale: che giustifico con la congiuntura economica nella quale viviamo un film così inaspettatamente buonista e speranzoso come "Il mio amico Eric" da parte di Ken Loach. Il regista ci accende una luce: una speranza di due ore per una favola alla quale probabilmente non crede nemmeno lui. Si comincia infatti dal punto più basso che si possa immaginare: il tentativo di porre fine alla propria esistenza ed ovviamente si tenta la scalata fino al finale esagerato. Una pellicola lineare quindi nel suo andamento esponenziale che fotografa, con durezza e drammaticità, la vita di Eric Mr. Nessuno. Un ragazzo che con una serie di poco invidiabili, ma altresì comprensibili, cazzate ha rovinato la sua giovinezza e compromesso la vita da adulto. Si guarda allo specchio 50enne e si vorrebbe sputare in faccia dopo due divorzi. Non ha presa sui figli randagi, non ha svaghi, non trova appagamento nel lavoro e si isola dagli amici.
Inaspettata, ecco dai fumi di qualche canna annaffiata da un bicchiere, arrivare la svolta. E' già un miracolo che "Looking For Eric" (cercando Eric) non sia stato tradotto da noi con "lo spinterogeno dell'ottovolante incantato" e di questo ne sono davvero grato agli intellettuali traduttori. Ciononostante il fulcro della pellicola consta a mio parere proprio nel verbo. Looking for. Ricercare. Eric sfigato, gasato dall'allucinazione dell'idolo ribelle di gioventù Cantona, si desta dal torpore nel quale vegetava e ritrova sé stesso. Aveva bisogno di uno sano schiaffo e lo prende da quel poster gigante che prende vita e a suon di filosofia fai da te e metafore calcistiche lo sprona con allucinazioni ad hoc. Con il suo irresistibile stile da arrogante campione sicuro in sé stesso farà cambiare la vita del nostro ossuto e spigoloso protagonista.
La sceneggiatura come capita spesso nei british movie si fa prendere un po' troppo la mano nell'ultimo quarto di film, ma alla fine quello offerto da Loach è un piatto ben servito di speranza, perdono, sacrificio e voglia di fare. Fotografia e montaggio asciutti con solo alcuni rapidi flashback. Dialoghi ficcanti e secchi nei quali spicca l'autoironia del bel personaggio del numero 7 del Man. United e il grigio sarcasmo nell‘Eric tifoso ben interpretato da Steve Evets. Un po' di amarcord con sano classic rock in sottofondo per rivangare quelle storiche ed epiche galoppate sulla fascia destra e quella serata in cui al ballo con Lily tutto sembrava un happy ending di un film della Walt Disney. Ed i minuti passano in un baleno.
La morale è quindi non è mai troppo tardi per fumare un cannone bevendo un paio di bicchieri di vino?? Scherzi a parte Loach con un buonismo paterno ci invita a non fare i "Venezia" cercando l'azione solitaria da cineteca. Il mondo ahinoi è pieno di Bruce Harper e scevro di Holly Hatton. Anche un assist può essere divino. Il lavoro sublima valori come modestia, generosità e fiducia. Aggettivi che la mattina alle 7 e 30 sembrano essere morti, sepolti e dimenticati quando vedi le ingellate e arroganti nuove leve fottere posti alle fragili vecchiette storte sugli autobus. Il gioco di squadra, il non chiudersi irrimediabilmente in sé stessi ed il riuscire a coinvolgere gli amici nei momenti in cui prevale la voglia di diventare struzzi è quello che dobbiamo looking for/cercare nel futuro per provare a uscire dal buco nel quale, per un motivo o per l'altro, ci siamo cacciati. Utopistico e natalizio buonismo ipercalorico, ma ben cucinato e di sicura presa.
3/4 stelle
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