Cari lettori,

a livello personale e sociale, questi sono giorni di grande preoccupazione, grigi e difficili. Eppure, non son qui per lasciarvi uno scritto disperato e afflitto, ma, bensì, per parlarvi di cinema; dopottutto, i momenti bui ci son per tutti e, dato che il buio (in sala) è premessa indispensabile per far partire un film, ne ho approfittato per vederne qualcuno del caro vecchio Ken Loach.

La sua carriera e il suo cinema sono strettamente legate all’operato politico della Tatcher; in particolare, negli anni Ottanta, gira una serie di documentari sui rapporti tra i sindacati e il governo, molti dei quali non andarono mai in onda. Per dirla in sintesi e brutalmente, egli ritiene che la signora debba essere maledetta per la posizione presa nella guerra di classe del XX secolo, ovverosia per aver deciso che i ricchi fossero sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri (e avessero sempre meno diritti). Esteticamente porta avanti questa critica, raccontando storie che hanno per protagonisti membri della classe lavoratrice, che si barcamenano tra lavori sempre più incerti, insicuri e pericolosi, nel tentativo di dare spazio a un po’ di bellezza per la loro vita affettiva.

Nel frattempo, dopo che la lady di ferro è spirata e ha ormai chiuso gli occhi per sempre, la società inglese non inverte rotta e Loach continua a raccontare storie della classe lavoratrice a modo suo.

Da queste storie vengono tratti film che viaggiano tra il dramma e la commedia, a volte oscillando maggiormente da una parte, a volte dall’altra. A volte suscitano rabbia, altre volte un riso, spesso amaro, e un po’ di speranza.

Ebbene, se questa sera vi sentite inclini al secondo genere di film e emozioni, La “parte” degli angeli può fare al caso vostro.

Si racconta la storia di Robbie, Albert, Mo, Rhyno e altri che come loro sono stati citati in giudizio per piccoli reati. Tutti, giustamente o ingiustamente, sbandati o sfortunati, vengono condannati a tante ore di lavori socialmente utili. Tutti lavoreranno sotto la guida e ala protettiva di Harry, un sessantenne, allenatore di una squadra di calcio amatoriale e profondo conoscitore di whiskey, che tratta loro con schiettezza e affetto, proprio come se fossero i giocatori della sua squadra.

Probabilmente, girando il film, il nostro regista ha voluto dare una risposta a chi si chiede in che modo, secondo lui, si possa squarciare il grigiore dell'esistenza della società di cui si è detto qualche riga fa.

“Someone gave me a chance once and it changed my life. And it sure sounds like you two could do with some luck.”

Si dice in un momento del film, e Harry offre ai Robbie solo la prima di queste possibilità di rialzarsi.

Sì, rialzarsi, perché la situazione per Robbie (e per gli altri) non è per nulla semplice. Quando la fidanzata Leonie dà alla luce il loro primo figlio, Robert viene pestato dagli zii e dal padre della fidanzata che non lo vogliono nella famiglia. Non basta, Robbie è perseguitato da altri suio vecchi nemici: insomma, i fantasmi del passato son dappertutto nel vecchio quartiere e la strada della redenzione si mostra ricca di insidie.

Ciononostante, la fiducia di Harry in Robbie è forte e generosa, quindi, per festeggiare l'arrivo del figlio, introduce il neopapà, Robbie, alla religione degli amanti del whiskey.

Dove, come e quando quest'ultimo riuscirà finalmente a rialzarsi e a cambiare vita viene mostrato nel film in una storia che viaggia tra alti e bassi, attimi di tensione e sorpresa, situazioni comiche e grottesche.

Grottesche perché i nostri protagonisti, in fondo, sono dei bravi balordi che si son cacciati nei guai e provano ad uscirne, perlopiù in modo comico e scanzonato. La loro storia fa bene allo spirito e per questo vi consiglio di conoscerla guardando e ascoltando le sue immagini e le sue parole a cuore aperto.

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