Dopo i lampi, la tempesta. Preannunciata la svolta elettronica due anni prima con "Tillbaka Till Samtiden" ecco che i Kent sfornano quella che è la massima espressione dell'evoluzione poc'anzi intrapresa, la farfalla apre le ali e mostra tutti i suoi colori lasciandosi alle spalle l'involucro che l'ha generata, appartenente ormai al passato. I colori sono rossi, neri e grigi, le ali profumate, l'aspetto ammaliante: i Kent lanciano durante una notte di festa al Bowery Hotel di New York in un freddo sabato di inizio novembre 2009 un disco che nel suo campo raggiunge la perfezione: "Röd", rosso, maturo, studiato, ricercato, raggiunto. Attraverso le 11 canzoni che compongono quest'opera elettro-rock scorre aria d'eccellenza, e ci si accorge presto che ogni nota pare esser stata trattata con i guanti per essere condotta al proprio posto.
L'intro pseudo gregoriano "18:29-4" sfocia ben presto in "Taxmannen", in cui la dose massiccia di tecnologia dà subito l'impressione di non essere utilizzata a sproposito ma al fine di ottenere un risultato di massimo impatto. Già ascoltando quest'inizio prepotente o la successiva, seducente, "Krossa Allt" si coglie il finissimo lavoro svolto in fase di arrangiamento, dove nulla sembra essere lasciato al caso. Joakim Berg la fa da padrone, sovrasta tutto con voce possente, ti avvolge nel suo abbraccio svedese. Proseguendo poi con la palpitante "Hjärta" e "Sjukhus", cupa e fascinosa numero 5 dal testo allucinato come non mai, si capisce che la ricerca del suono diventa sempre più lo stimolo dei Kent a continuare non solo a fare musica, ma a fare musica in modo splendido. Messa momentaneamente in secondo piano l'elettronica, seppur ben presente, in questa parte centrale compaiono archi, arrangiamenti orcherstrali, e fanno anche ritorno le chitarre: tutto contribuisce a creare in ogni pezzo un'atmosfera diversa, ora riflessiva, ora tenebrosa, sempre singolare e confezionata in modo impeccabile. La successiva "Vals För Satan (Din Vän Pessimisten)" rappresenta lo zenith del disco, dove sia l'evoluzione canora di Joakim Berg sia il contorno melodico, e che contorno, raggiungono l'apice dell'espressività creando una forza magnetica che diventa ipnosi, diventa puttana, diventa seduzione demonìaca. Se Berg è Satana, quello del titolo, io ora gli presto l'anima mentre tutto esplode. Più il là, "Idioter" si fa apprezzare nella sua veste un po' più radiofonica e semplice pur mantenendo ben alto il ritmo, la batteria di Markus Mustonen dona al pezzo un andamento trascinante prima che il tutto si rilassi con "Svarta linjer", che forse è l'anello più debole della catena ma a questo punto ci sta da dio, un po' come la mentina che ti rinfresca l'alito ripulendoti la bocca dal sapore di fumo mentre la nicotina è ancora in circolo.
I brani dei Kent hanno perso l'immediatezza dei tempi indie pur restando di facile impatto, non occorrono ascolti su ascolti per farli propri e possederne l'essenza eppure niente appare banale e tutto sembra discostarsi dagli schemi musicali canonici in favore di una ricerca sempre più accurata di nuove atmosfere. "Ensamheten" riprende un tema già affrontato più volte dalla band svedese, vale a dire la solitudine, la mancanza, e lo fa stavolta con un rivestimento nuovo riagganciandosi alle prime tracce più elettroniche e lasciando alla successiva "Töntarna", primo singolo estratto dal disco, il compito di riportare quest'aspetto al massimo livello in un pezzo sì orecchiabile ma tutt'altro che leggero. La conclusione, infine, è ciò che di meglio ci si possa augurare dopo tutto ciò: "Det Finns Inga Ord" cita di nuovo la Svezia, il suo freddo, i suoi rapporti, l'amore grande e obbligato che la band ha per la propria terra e lo fa in modo epico, sublime, trionfale. Non ci sono parole, esattamente come recita il titolo di quest'ultima traccia la quale lascia l'ascoltatore con quel senso di soddisfazione che fa venir voglia di premere il tasto per tornare indietro all'inizio del disco, un disco rifinito in ogni singola parte, lucidato e preparato per essere perfetto e per essere il migliore della discografia. Poi, a seconda dei gusti, si può preferire sempre e comunque i Kent di una volta, ma quest'opera è oggettivamente luccicante. Bravi, davvero.
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