"Tutti noi abbiamo sogni ed aneliti segreti e la registrazione di quest'album ha significato la realizzazione di parecchi dei miei. Ho avuto l'opportunità di lavorare con persone che ammiro da lungo tempo, di esplorare differenti direzioni musicali, di sperimentare una completa indipendenza, soprattutto di avere nuove fonti di ispirazione... ma più di tutto di divertirmi un sacco! Spero che troviate piacevole ascoltare l'album almeno quanto è stato per me realizzarlo.

E' quanto  scritto da questo bravo musicista americano nelle note di copertina del primo disco a suo nome, pubblicato nel 1980 quando era ancora il chitarrista principale, secondo tastierista e primo compositore nei Kansas. Le ammirevoli persone di cui sopra rispondono ai nomi di Barriemore Barlow il batterista dei Jethro Tull, di Ronnie James Dio in quel periodo frontman dei Black Sabbath, di Paul Goddard il bassista della Atlanta Rhythm Section, di David Pack il leader degli Ambrosia, del cantautore cristiano Mylon LeFevre e di altri ancora. Anche alcuni suoi compagni di gruppo sono comunque presenti, qui e là.

A ben vedere, le "differenti direzioni musicali" esplorate dal nostro non sono di grande  impatto: siamo sostanzialmente al cospetto di quarantatré e rotti minuti di purissimo ed ispirato proto-progressive metal (allora lo si definiva pomp-rock), decisamente nel modello Kansas, formazione della quale il biondo Kerry era d'altronde primario componente.

"Just One Way" apre i giochi con una bella fanfara di sintetizzatore, a cui s'alterna  l'interpretazione un po' incolore di Jeff Pollard, allora cantante dei poco conosciuti LeRoux ma attualmente fervente pastore evangelico, in quei giorni impegnato proprio ad indottrinare Livgren e farlo definitivamente convertire alla pratiche religiose più convinte. Il caratteristico basso Rickenbaker di Paul Goddard si distingue subito per competenza, gusto ed efficacia.

"Mask Of The Great Deceiver" segue a ruota dispiegando la sonora, potente ed enfatica ugola del compianto Ronnie James Dio: una voce spessa, importante, certo invisa a tanti data la sua pomposità, in ogni caso rimasta insuperabile nel suo genere. Grandioso, qui come nel pezzo d'apertura, il fantasioso batterista Barlow, vero ispiratore di gente che verrà come Mike Portnoy.

Su "How Can You Live?" viene chiamato al microfono il frontman dei Kansas Steve Walsh, e allora i distinguo col gruppo madre spariscono del tutto: trattasi di tipicissimo rock epico alla Kansas, reminiscente di recenti episodi contenuti nei loro album, specie riguardo la melodia del refrain.

"Whiskey Seed" gioca la carta del rock sudista, con tanto di armonica e dobro (una chitarra parzialmente di metallo) suonato col ditale slide. La voce strascicata del Mississippi-born Mylon LeFevre conforta il tutto e avalla, almeno episodicamente, quella diversificazione annunciata dal titolare del disco.

Il vocione epico ed epocale di Ronnie James Dio ritorna nell'ottima "To Live For The King", decisamente costruita pensando al suo stile, anche dal punto di vista del titolo e delle liriche. E' giocata su un ipnotico e filamentoso arpeggio di chitarra elettrica, avvolto di chorus e delay, sul quale si libera il canto del talentuoso piccoletto e più in là un lungo e puntiglioso assolo di Livgren, come sempre assai distinguibile nello stile e soprattutto nel timbro che ama tenere sulla chitarra elettrica, molto compresso e con il massimo attacco della pennata (il cosiddetto edge, come dicono sbrigativamente gli anglosassoni).

"Down To The Core" è un rock blues sagomato e ortodosso, quasi di scuola Cream, in mezzo al quale è però incastonata una fuga strumentale di chitarra sopra una ritmica alle prese con un impenetrabile tempo dispari, dall'aria vagamente King Crimson.

La conclusiva, trionfale "Ground Zero" è decisamente in forma di suite, lasciata all'interpretazione di David Pack, sostenuto dai cori stentorei di uno stuolo di gente. Sono otto e passa sinfonicissimi minuti, un vero caleidoscopio di situazioni musicali creato dallo squisito lavoro del violinista (dei Kansas) Robby Steinhardt, dalle fanfare di tastiere che staccano accordi a tutto spiano,  dal pianoforte romantico in stile Wakeman e infine dalla chitarra solista, metallica e pesante, che prorompe ogni tanto ad indurire l'atmosfera.
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