Signori e signore, vi presento uno degli albums migliori in assoluto dei Killing Joke.

Voi mi chiederete, ma più bello dell’omonimo debutto? Vi rispondo: dischi completamente diversi, belli entrambi, ma personalmente ascolto molto più spesso questo e 'Night Time'. E voi replicherete: ma come, Scaruffi gli appioppia un bel 5 e tu lo definisci uno degli episodi più riusciti della loro discografia? Io vi rispondo: Scaruffi e tutti quelli come lui che pretendono di oggettivizzare la musica rendendola una questione freddamente tecnicistica, possono dire quello che vogliono.

Il merito maggiore di questo “Brighter Than A Thousand Suns” è soprattutto quello di contenere la canzone più bella dello “scherzo che uccide”, ossia la meravigliosa “Adorations”, song di apertura dell’opus. Onirica, forse, è il termine giusto per definirla. Non ho mai ascoltato sino ad adesso una canzone più eterea ed onirica di questa. Una miscela assolutamente affascinante tra il basso sempre in corda, arpeggi chitarristici delicati e sognanti, synth penetranti e la magnifica voce di Coleman quando ancora cantava e non grugniva come fa adesso facendo sembrare la voce di Lemmy Kilmister quella di un soprano. Solo l’ascolto di questa canzone da sola, varrebbe l’acquisto a scatola chiusa dell’album. Ma tutta l’opera vale sicuramente un posto d’onore e di rispetto nell’ambito della loro produzione, a prescindere dall’importanza storica del disco di debutto.

Siamo a metà degli anni 80, e si sente, dato che “Brighter Than A Thousand Suns” è sicuramente il disco più new wave della band e quello classificato come più commerciale. Suoni wave sempre melodici e coinvolgenti, mai banali. Ascoltare, ad esempio, la dolce e raffinata “Sanity”, per credere. O la magnifica “Chessboards”, classico esempio di canzone difficilmente descrivibile per le emozioni che fa scaturire. Canzone che, insieme ad “Adorations”, dà al disco la massima votazione. “Brighter Than A Thousand Suns” è costellato da momenti come questi, anche se dall’ascolto finale potrebbe sembrarvi di aver assistito ad uno spettacolo bellissimo ma, in sé, un po’ ripetitivo. Ma è proprio questo il suo punto di forza, ossia l’oniricità, l’impercettibilità e la cosmicità che ne contraddistinguono quasi tutti i pezzi. Caratteristiche che si ritrovano anche in “Love of The Masses” , nella danzereccia “Victory”, nell’ inno di “Rubicon”, nell’oscura e decadente “Goodbye To The Village” .

In conclusione, a chi dareste ascolto, al buon Scaruffi o alle vostre sensazioni ed emozioni?

P.S.

Questa recensione è più un pretesto per ringraziare De Baser e i suoi utenti per essere stata una presenza assidua in questi mesi per me di duro studio e lavoro. Una presenza che mi ha fatto affezionare al sito che considero essere stato un mio compagno di viaggio. E’ anche una recensione che dedico a me stesso, perché ogni tanto i sogni si realizzano. Saluti a tutti.

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