Il 2012 che si avvia ormai verso la sua conclusione è stato un anno molto prolifico e positivo per il lato più genuino ed intelligente del pop commerciale, tra piacevolissime e non scontate riconferme, inaspettati colpi di coda ed esplosioni di nuovi talenti, di cui ho già parlato in passato a vario titolo: segnali di vita sempre più continui e convincenti, una scena che sembra sempre più in fermento ma, senza nulla togliere alle ottime uscite di P!nk, Scissor Sisters e Fun la palma di miglior artista pop nell'anno per me la vince a mani basse un esordiente, il londinese Charles Costa, in arte King Charles. Il pop ha bisogno di nuovi talenti, nuove idee, ha bisogno di una vigorosa spinta dall'underground che inietti a forza sincerità, divertimento, passione ed amore autentico per la musica in un mainstream che in linea generale sembra rifiutarsi di trovare un fondo da cui risalire e King Charles ha tutte le carte in regola per rappresentare un futuro più umano, credibile e sostenibile per il pop.
Questo ragazzo, 27 anni e un po' di gavetta alle spalle prima di un meritato contratto con la Island Records, si presenta con un bizzarro ed accattivante look simil-Prince, come il musicista di Minneapolis è compositore, songwriter e polistrumentista (chitarra, piano e violoncello) ma le somiglianze finiscono qui: niente funk o soul, King Charles con questa opera prima, "Loveblood", propone uno stile eclettico in cui convivono armonicamente folk ed elettronica, con uno mood colorato, vivace, radioso: "Loveblood" è un autentico inno alla gioia, una pop-opera, quasi concept album in cui tutte le canzoni ruotano intorno all'amore per una ragazza, con quella ricchezza a livello di suoni ed arrangiamenti e quel tocco sontuoso e un po' eccentrico che tanto mi aggrada. La marcia in più di "Loveblood" è un songwriting fresco e spontaneo, l'innata capacità di inventare melodie orecchiabili e trascinanti, l'allegria prorompente e contagiosa che riesce a trasmettere: ascoltare per credere degli anthem come il solare calypso di "Mississippi Isabel" o una grandiosa e divertentissima "Lady Percy" in cui il pop-R'n'B moderno incontra i Pogues, canzoni da manuale della perfetta composizione pop. Un tocco caraibico è perfettamente avvertibile anche nel giocoso rock-reggae di "Loveblood", contaminato da un po' di barocchismo nelle sovraincisioni vocali stile Queen anni '70 di "Bam Bam" ed in una forma più tranquilla ma ugualmente intensa in una dolce semi-ballad velata di elettronica come "Love Lust", inframezzata da prorompenti intermezzi di chitarra, in grande evidenza nell'episodio più rock-oriented dell'album, "Coco Chitty", una power-ballad di gran classe arricchita da un perfetto arrangiamento d'archi. Il violoncello è protagonista in "Polar Bear", una teatrale e cadenzata marcia simil-gothic con intermezzo rappato di grande impatto che spicca imperiosamente sul resto dell'album, in cui spiccano anche episodi più riflessivi, che mettono in luce il lato più folkie di King Charles; una dolce e cullante dichiarazione d'amore come "Ivory Road", che tuttavia non rinuncia alla vivacità tipica dell'album, facendosi notare anche per un bellissimo testo, e ancor più "The Brightest Lights", collaborazione con la folk band Mumford & Sons, che suona come un vecchio classico county-gospel riletto in chiave moderna, con la stessa spontaneità da autentica canzone popolare, i beat elettronici che abbracciano il violoncello nell'atmosfera pacata e riflessiva di "Beating Hearts" e la teatralità corale dell'agrodolce "Wilde Love" che sfuma con grazia in cori di voci bianche, suggellando in grande stile un luminoso battesimo discografico per un autentico e genuino talento, oltre le più rosee aspettative.
Non solo il pop, ma tutta la musica ha bisogno di personaggi, di nuove leve come lui, ha bisogno di liberarsi di cliches e stereotipi antiquati, ed un nuovo nome capace di far convivere armonicamente stili diversi tra loro come King Charles è manna dal cielo; un disco fantastico questo "LoveBlood", una boccata d'aria fresca, una gioia per le orecchie di chi ancora pensa che il pop debba essere arte e non merce da vendere. Dato che il panorama generale rimane comunque desolante, al punto tale che in Italia (!?!?) si concede spazio e visibilità ad un prodotto white trash filo-repubblicano come Taylor Swift, una che già in Canada ed in Messico non avrebbe ragione di esistere è più che mai giusto e doveroso promuovere, parlare, dare visibilità, far conoscere, condividere sensazioni ed opinioni su artisti come King Charles e, perchè no, premiarli con il massimo dei voti; nel firmamento del pop brilla una nuova stella, con tutti i migliori auspici e prospettive per il futuro.
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