Cominciamo col dire che ai King Crimson la definizione di "gruppo musicale" sta piuttosto stretta; difatti più che un vero e proprio gruppo essi sono da sempre la "creatura prediletta" di Robert Fripp, che da creatore e leader assoluto ne ha sempre fatto ciò che voleva, stando sempre attento a non risultare mai banale. E quando ormai nessuno osava più sperarci ha ridato ancora una volta vita alla sua creatura, e ancora una volta inventandosi una forma assolutamente inedita ed innovativa. Si può dire che stavolta Fripp abbia voluto sintetizzare nella nuova formazione a sette elementi quanto di meglio avevano da offrire le passate line-up della band con i nuovi, azzeccatissimi innesti. Lui, Fripp, è sempre nel suo angolo con la sua inseparabile chitarra, le tastiere ed il mellotron, affiancato da Jakko Jakszyk, voce e seconda chitarra già presente nell'ultima versione dei Crimson; al loro fianco troviamo il collaudatissimo Tony Levin al basso, presente nella band ormai da trentacinque anni, e un fantastico ripescaggio dalla formazione degli anni settanta, il fantastico Mel Collins ai fiati, che dai tempi di "Red" e "Larks' Tongues In Aspic" sembra essere addirittura migliorato. Davanti a questi quattro portenti troviamo allineate ben tre batterie, la grande novità di questa formazione: sulla sinistra il veterano del gruppo Pat Mastelotto, alle pelli fin dal 1994, al centro il nuovo arrivo di quest'anno Jeremy Stacey, che va a sostituire Biell Rieflin alla batteria e alle tastiere, mentre a destra c'è Gavin Harrison, probabilmente il batterista che Robert Fripp ha aspettato fin dal ritiro di Bill Bruford per la capacità di aderire perfettamente al suono e alle idee del leader cremisi.
Cominciamo col dire che, di solito, ai concerti rock durante i pezzi c'è chi inneggia, chi accompagna l'esecuzione col battito delle mani, chi salta, ecc... Qui no. Quando i nostri entrano in scena c'è un applauso di benvenuto ma, appena attaccano col primo pezzo, cala un silenzio quasi religioso sulla sala, probabilmente dettato dalla consapevolezza dei presenti di stare assistendo a qualcosa di unico, di mai visto prima. Sì, perché l'altra grande novità di questa incarnazione dei King Crimson consiste nel fatto che per la prima volta in quasi cinquant'anni di attività Fripp & Co. hanno deciso di riproporre dal vivo i pezzi di repertorio, scegliendo oltretutto di andare a coprire coi pezzi scelti tutta la carriera del gruppo. Per quarantacinque anni Fripp si era ostinato a proporre nei concerti dei Crimson improvvisazioni, esperimenti, qualche celebre cover (come "Heroes" di David Bowie), pezzi dell'ultimo album uscito e, solo sporadicamente, un paio di classici (spesso "Red" e "Three Of A Perfect Pair"). Stavolta i fortunati che hanno assistito e che assisteranno ai concerti di questo tour potranno raccontare di aver ascoltato dal vivo cose che erano state proposte soltanto nei tour degli album di provenienza.
L'attacco è affidato a "Larks' Tongues In Aspic - Part One" e l'esecuzione, come avverrà per tutti i brani presentati, è perfetta, lucida, al limite della maniacalità, sia nella scelta dei suoni che nella nuova impostazione dettata dalle formazione a tre batterie, che invece di suonare in sincro la stessa cosa si danno a scambi di ruolo e divisioni di partitura difficilissime e tuttavia straordinariamente efficaci. Subito dopo si pesca da "In The Wake Of Poseidon" con "Pictures Of A City" e "Peace: An End", in cui la somiglianza vocale tra Jakszyk e l'allora giovanissimo Greg Lake diviene subito evidente a tutti gli ascoltatori, che ascoltano commossi l'esecuzione solo chitarra e voce di "Peace: An End", che il nuovo vocalist rende alla perfezione. Si prosegue con un mix di pezzi che, come detto, va a coprire tutti i quarantasei anni di carriera della band, toccando vette particolarmente alte nell'esecuzione di capolavori come "The Court Of The Crimson King" ed "Epitaph" (per quest'ultima non sia vano parlare di autentica commozione), nel rock duro e sperimentale di "Level Five" o nell'ascolto dell'assolo di Fripp contenuto in "Easy Money", uno dei rarissimi virtuosismi solistici che il leader abbia mai concesso e che ripropone senza una sbavatura dal vivo. Aiuta a mantenere l'attenzione l'idea di dividere l'esibizione in due set inframezzati da una pausa di venti minuti. Alla fine arriva una carrellata di classici senza tempo: "Red" e "One More Red Nightmare" mostrano il lato più puramente rock della creatura di Fripp, il più trascinante dal vivo, mentre il momento più intenso, epico e commovente (lo sto, sto abusando di quest'aggettivo, ma chi era lì potrà capire che lo sto usando anche troppo poco) è affidato a "Starless", uno dei vertici compositivi non solo di tutta la storia del rock, ma probabilmente di tutta la musica del '900 in generale, la cui esecuzione dal vivo non tradisce di una virgola la registrazione in studio e che la nuova formazione rende ancora più coinvolgente di quanto già non fosse. I nostri escono di scena e ritornano per un bis consistente nell'unica, straordinaria esecuzione del pezzo da cui tutto cominciò nel lontano 1969, ovvero "21st Century Schizoid Man", in grado di far alzare tutti dal proprio posto e di strappare applausi per tutta la propria durata, anche grazie al fatto d'essere inframezzata dal perfetto (e mai termine fu più azzeccato) assolo di batteria di Gavin Harrison, in grado di ristabilire per l'occasione quel relgioso silenzio che regnava ad inizio concerto e che è l'unica risposta possibile di fronte ad una tale perfezione di suono, di tecnica e d'ispirazione che si stava svolgendo come se niente fosse davanti agli occhi di un pubblico al culmine dell'entusiasmo, che alla fine dell'assolo e poi del pezzo ha salutato i nostri con un'esplosione di applausi che ha richiamato Fripp e soci sul palco e li ha inchiodati lì a ricevere il tributo di una folla che non dimenticherà tanto facilmente ciò che ha visto e sentito quella sera...
Insomma, a più di settant'anni il re cremisi non solo è tornato, ma è più in forma che mai!
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