E' un gioco inutile e sacrosanto quello che, presumo, ogni appassionato di musica fa almeno una volta; eleggere il proprio, personalissimo, "miglior disco di tutti i tempi". E il meccanismo non riflette classifiche e sondaggi, va piuttosto a mobilitare una serie di fattori coscienti e non, tecnici quanto emozionali, che magicamente prendono le sembianze di una copertina "mito", tale almeno per chi le riserva il gradino più alto del podio.

Era un 1973 appena scoccato e Robert Fripp aveva da poco riassemblato la sua creatura cremisi; "Yes man" Bill Bruford on drums, John Wetton tra bassi, viole e corde vocali, David Cross con violino, flauto e mellotron e Jamie Muir a percuotere seghe e bottiglie di plastica prima di ritirarsi in una monastero tibetano in Scozia. La Les Paul di papà Fripp sarebbe entrata in scena al terzo minuto abbondante del disco che nacque nel giro di un mese: "Larks' Tongues in Aspic".

Il dopo "Island" (1971) parte come una De Lorean in direzione di un teatro del sogno con alberi di porcospino e qualche attrezzo per chiodi da nove pollici - roba che neanche Lynch, ma è giusto per liquidare la questione della lungimiranza - con suoni da frantumare impianti del tempo e pregiudizi di oggi, mosso da un senso compositivo che ha probabilmente in "Larks' Tongues in Aspic, Part One" l'apice storico da quando si può parlare di musica rock. Non è solo rock, non è solo jazz, non è solo jazz-rock; 13 minuti di incastri sonori, alternanze ritmiche, pieni e vuoti da capogiro, una cavalcata da genio frippiano assecondata dal funambolico talento dei musicisti di corte. "Book of Saturday" e "Exiles", episodi magistralmente "toccati" da David Cross, condotti su scelte ardite come il solo rovesciato di Fripp, sono quanto di più raffinato appartenga ai King magici, quelli di "I Talk to the Wind" e "Cadence and Cascade", con Wetton interprete perfetto come fu Greg Lake, storico bassista e cantante della band.

La divagazione di "Easy Money" liquida i debiti con il jazz già presenti nell'andamento imprevedibile delle strofe, così che la trilogia cantata si chiude frantumando la forma canzone dall'interno, nelle sue componenti più ovvie; strofa, ritornello e variazione. Le ultime due tracce, "The Talking Drum" e "Larks' Tongues in Aspic, Part Two", sono una la conseguenza naturale dell'altra; il tamburo parlante conduce una jam in crescendo ipnotica e folle, quindi Fripp subentra a violentare i pari e i dispari della sessione ritmica nel trionfo finale. "Can we try one more immediately?" dice Wetton mentre il vinile compie gli ultimi giri; per tutto l'anno i King Crimson avrebbero improvvisato il materiale del successivo "Starless and Bible Black" (1974)... "Possiamo farne subito un'altra?"...

E' un gioco inutile e sacrosanto quello che, presumo, ogni appassionato di musica fa almeno una volta; eleggere il proprio, personalissimo, "miglior disco di tutti i tempi". E io, spontaneamente, vado col pensiero al 1973; in quell'anno la luna mostrò al mondo il suo lato oscuro ma io, ancora una volta, la preferisco abbracciata dai raggi del sole...

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