"Sedetevi bambini, sto per raccontarvi una storia..."

Sono dell'opinione che solo un pazzo potrebbe criticare il modo in cui King Diamond, vero nome Kim Bendex Petersen, affronta e struttura ogni suo album fino allo stremo, fino al completamento dell'ultimo dettaglio. Certo, la voce del cantante danese è difficile da farsi piacere a primo impatto, ma una volta che si capisce che quello che si sta ascoltando non è propriamente un canto, ma una recitazione vera e propria, la curiosità prende il sopravvento. Sapere come la storia proseguirà, farsi domande sul finale, e sentire le mille sfaccettature del Re Diamante nell'interpretare i diversi personaggi.

Difficile muovere un appunto sulla struttura di un album di Diamond dicevo, e come sarebbe possibile poi? All'attivo nel mondo musicale da quasi 45 anni, 35 se si conta l'uscita di "Melissa" dei Mercyful Fate nell' 83', il Re ha sempre saputo dare un cambiamento radicale a ogni suo album nella sua carriera solista, dai più classici "Them" e "Abigail", fino ai più recenti "Give Me Your Soul...Please" e "The Puppet Master", ma agli inizi degli anni 90' la carriera di Diamond non andava propriamente sui binari giusti.

Reduce dalla pubblicazione nel 1990 di "The Eye", album qualitativamente alla pari dei precedenti, ma penalizzato da una pessima promozione dell'album da parte della casa discografica, e dall'uso di una drum machine, la fama acquisita negli ultimi anni di King Diamond sembrava andare scemando. Nel 1992, avvenne però la reunion dei Mercyful Fate, che durò fino al 1999, che fece restare il Re Diamante a galla, pubblicando in contemporanea agli album della sua prima band, altre tre uscite, "The Spider's Lullabye" nel '95, "The Graveyard" nel '96, e "Voodoo" nel '98, album che paradossalmente però passarono in sordina e che vennero pesantemente snobbati dalla critica, al tempo più incentrata sui Mercyful Fate.

Se però il primo e ultimo lavoro sopra elencati riscossero uno scarso, ma seppur presente apprezzamento, "The Graveyard" sembrò non essere neanche mai uscito, tanto che non fu né mai concepito un tour a supporto del disco, e nè King Diamond stesso, forse non contento del lavoro, eseguì mai una performance dal vivo dei pezzi presenti nell'album. Come ogni uscita del gruppo, l'album è un concept la cui trama si snoda sulle vicende di un uomo che ha assistito allo stupro di una bambina da parte del padre, oltre che sindaco, ma l'uomo viene ingiustamente accusato del reato dal sindaco, diventando pazzo, e rifugiatosi in un cimitero organizza il suo piano per vendicarsi di colui che lo ha ridotto in quello stato, rapendo la figlia del sindaco, toccando nei testi argomenti come la perversione sessuale, necrofilia, e un forte riscontro psicologico.

Punto focale dell'lbum sono i mid tempo, che occupano gran parte dei pezzi, seppur non annoiando quasi mai vista la teatralità con cui Diamond, e sopratutto il chitarrista Andy Larocque, gestiscono ogni singola canzone. Pezzi più diretti come "I'm Not A Stranger", incentrato sull'incontro fra la figlia, Lucy, e l'uomo impazzito che la prende di forza all'uscita da scuola e la porta a casa sua, o "Black Hill Sanitarium" si alternano ad altri focalizzati più sulla parte interiore dei personaggi, come in "Daddy" , "Heads On The Wall", o "Sleep Tight, Little Baby", caratterizzati da un incedere cadenzato, sopratutto le ultime due. Gestita alla perfezione l'andazzo della storia da parte di King Diamond, il quale con l'avanzare del finale riesce a trasmettere una sorta di suspence indispensabile nei lavori del cantante danese, e che è riuscita a far sì anche che lavori come "Abigail" rimanessero impressi nel tempo.

Difficilmente se vorrette avvicinarvi alla discografia di King Diamond vi verrà consigliato di iniziare con questo "The Graveyard", al contrario sarà invece suggerito nella maggior parte dei casi di accingersi a mani (e orecchie) piene i suoi primi lavori. Questo lavoro però ha veramente poco da essere criticato come fu all'epoca, l'unico neo che forse posso riuscire a trovargli è una produzione non sempre all'altezza, che in più occasioni penalizza il lavoro del basso, ma sono veramente piccolezze. Forse lontano dalle solite horror stories che Diamond era abituato a raccontare, "The Graveyard" è un album che può riuscire a soprendere in più tratti, risultando probabilmente anche come l'uscita del Re Diamante più incentrata sul fattore mentale e interiore, al contrario di altri.

A volte i lavori più bistrattati possono rivelarsi delle vere e proprie perle, e in questo caso, almeno a parere di chi scrive, possiamo dire di trovarci di fronte a un capolavoro.

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