"Peter Pan, he won't come back
They chained his feet and broke his back
I'm crying, remembering the days
Crying sweet tears of joy, remembering the days
Games that we played"
Sono già passati quattordici anni da quel debutto al fulmicotone che risponde al nome di "K", quando i Kula Shaker si imposero di prepotenza nel panorama musicale mondiale come la nuova promessa del rock britannico. Sembra ieri... ieri che correvo a comprare quell'album facendo sega a scuola quella mattina e molte altre successive, travolto nell'ascolto e nella psichedelia indiana (e, invero, un po' kitsch) di quei quattro ragazzi saltati fuori dal nulla e che rischiarono davvero di farmi perdere l'ultimo anno di Liceo e tutta la buona reputazione e la stima di cui avevo goduto nei quattro anni precedenti. Il fatto è che da allora cominciò a fregarmene veramente sempre meno di Erodoto e Seneca e di mantenere una media alta in tutte le materie. Diventai anche vegetariano per colpa dei Kula Shaker, e agli esami di maturità mi presentai infine preoccupatamente emaciato e scazzato come un galeotto nel suo ultimo giorno di galera. Mi salvai per il rotto della cuffia...
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta per la band di Crispian Mills e Alonza Bevan, e sono state spesso acque torbide e agitate tanto che ad un certo punto, divenuta la navigazione impossibile, ai Kula Shaker convenne fermarsi e tirare il fiato per non perire miseramente, riflettere, sciogliersi e capire la strada da percorrere una volta ritrovata l'umiltà persa dopo aver fatto il botto così giovani, ed esser sempre stati sotto l'effetto di qualche droga, soprattutto di quelle peggiori: denaro e successo. La difficoltà maggiore per questa band è stata, e resta tutt'ora, quella di riuscire ad affrancarsi dall'immagine freak e colorata, neanche tanto vagamente nostalgica e debitrice dei Sixties, per cui ad ogni nuova loro uscita discografica (quattro soltanto in verità, dal 1996) qualche critico musicale dell'ultima ora salta sulla sedia puntando il dito contro ed accusandoli di essere troppo derivativi. Io penso che, as usual, tutto dipende dall'angolazione da cui si valuta ogni fenomeno e soprattutto, in questo caso, dall'onestà intellettuale del recensore di turno. Vado a spiegarmi, in ogni album dei Kula Shaker sono fin troppo palesi, è vero, le influenze beatlesiane, pink floydiane, crimsoniane talvolta, dei Jethro Tull, ma anche degli statunitensi Grateful Dead e del Dylan più acido ("Modern Blues"), ma cosa c'è di male se...fino a prova contraria i Kula Shaker sono 100% inglesi ed un certo tipo di sonorità è assolutamente congeniale al loro Dna culturale? Di cosa ci si stupisce? Crispian Mills non è il cantante de Le Vibrazioni, e può attingere con naturalezza dalle sue radici e dalla musica della sua infanzia, che è probabilmente anche la musica dell'infanzia di ogni inglese più o meno giovane o anziano, lo si voglia riconoscere o no.
Vi riesce tra l'altro con un candore ed una ingenuità oggi più che mai davvero davvero disarmanti, in linea con il mood generale dell'album dedicato alla figura di un Peter Pan morto perchè cresciuto ed ha perso ogni speranza ("Peter Pan R.I.P.", ispirata dal libro di Andrew Birkin "JM Barrie & The Lost Boys")...;colpisce questa volta proprio una vena elegiaca e malinconica insospettate per i Kula Shaker del passato...i ragazzi sono cresciuti, come è cresciuta la mia barba negli anni e la disillusione nel mondo migliore che avevo sognato in quello scorcio di fine millennio. Così, quasi del tutto abbandonate pericolose divagazioni hard rock/sitaristiche, in "Pilgrim's Progress" sono le chitarre acustiche, gli archi, i flauti, e i celli a farla da padrone ("Ophelia"). E non è un caso se proprio nei due episodi in cui la Fender torna a ruggire riffoni circolari ("Figure It Out") o risentimenti barrettiani ("Barbara Ella") l'album risente, a parere del sottoscritto, di un lieve calo di tensione prontamente ripresa, per fortuna, nei tre drammatici episodi finali dalla celticheggiante e strumentale "When a Brave Needs A Maid", e dalle tristissime "To Wait Till I Come" e "Winter's Call", quest'ultima con un fade-out da brivido che lascio a voi la sorpresa di scoprire...
Anche l'artwork, a differenza dei loro precedenti lavori, è meno "chiassoso" e ha un'eleganza diversa, affidata più alla linea del disegno che non al colore, essendo ogni tonalità appiattita su un esangue e autunnale ocra... Fra le note in margine al libretto voglio riportarne una a mio avviso significativa per un'ulteriore e profonda riflessione sullo spirito di "Pilgrim's Progress", ed è la seguente: "This album was recorded at Lompret, 'The Long Meadow', deep in the Calestienne, often in sub zero temperatures, between 2009 and 2010".
Purtroppo assocerò sempre ormai l'ascolto di quest'album a Claudia, che entra ed esce dalla mia vita, senza che possa più fare niente o abbia la minima voglia di evitarlo... chiudo gli occhi, Peter Pan R.I.P.
"Peter Pan, don't look back
They'll clip your wings and chain your back
I'm crying, remembering the days
Crying sweet tears of joy, remembering the days
Games that we played"
Elenco e tracce
Carico i commenti... con calma