Il lavoro dell’ungherese Laszlo Hortobagyi, uscito nel 1994, è una eccentrica compilation registrata dalla sua società segreta musicale creata a Budapest nel 1981 con il nome di The Gáyan Uttejak Society.

E ci si confonde subito a cominciare dalle note di copertina.

Quest'ultima raffigura tra l'altro anche una figura femminile avviluppata da un serpente Kundalini spesso descritta come un rettile addormentato alla base della colonna vertebrale.

Il serpente rappresenta la potente energia della forza vitale spesso dormiente che si trova nella sua potenzialità all'interno di tutti gli individui.

Ma se le informazioni contenute nella copertina del cd sono vere, sembra ci abbiano lavorato più di 100 musicisti, tra cui vari cori, molti suonatori di sitar, tabla, chitarra, sintetizzatore, flauti e altri strumenti, insomma un'orchestra gamelan.

Tuttavia, non se so questo sia vero, e quanto affermato va valutato con cautela. D'altra parte in questo disco il magiaro riesce a dare l'impressione di essere una band, quindi rimaniamo nel dubbio, tanto è convincente il risultato. Sembra davvero un lavoro corale profondamente sentito.

Il viaggio ci porta verso Arcadia, una terra promessa che nella trasfigurazione letteraria è un luogo di serena vita pastorale dedita ai piaceri della natura e del canto. Una terra bucolica in cui si vive in simbiosi con i ritmi della natura con paesaggi ameni e scenari idilliaci.

Ma non credo sia sempre così.

Si ascolta una miscellanea di cori mantra, percussioni orchestrali, ritmi di drum machine, cori di musica gregoriana, raga con sitar, tamblas e gong. Oltre alla musica funebre per accompagnare le vampe delle pire di fuoco in riva al Gange.

Il tutto armonicamente eseguito per comporre un puzzle di sensazioni uditive che compongono un unicum ascetico e mistico.

Tra i brani si possono segnalare i piu' tradizionali Samsara,Stasi Binkar, Karmaraga. Quelli che introducono elementi di suoni elettronici e di drum machine sono Naganavarasa, Jah -Indollah.

L'ultima traccia Arabesque torna alla trance, come nel primo brano, dove i tratti indiani incontrano ritmi e sonorità piu' contemporanee.

Qui un Bramino recita la fine del mondo su un organo da chiesa suonato da un folle che picchia sui tasti con un martello da miniera, accompagnato da una solenne musica funebre che comprende campane a tre toni, per scandire il tempo del rituale della vita che scorre e che sarà.

E' un mondo di correnti gravitazionali, perturbazioni dello spazio tempo che si propagano come onde in cui si puo' accedere in modo sincrono chiudendo gli occhi e subendo il fascino del silenzio interiore.

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