Questa recensione vorrebbe essere il mio personale elogio ad una band, autentica rivelazione di chiaro pregio, ed un tributo alla loro stravolgente creatività, ufficialmente rivelatasi al mondo attraverso il disco d’esordio di cui sto per scrivere. Mentre mi accingo a dare forma a tale mio proposito, penso alle formazioni italiane che hanno lasciato un'impronta decisiva in quel segmento illimitato di universo che, comunemente e generalmente, chiamiamo Goth Rock. Volendo essere ancora più specifico e chiaro, penso a quelle band che sono un'evidenza del fatto che il deathrock non è soltanto prerogativa d'oltre oceano. Anche in Italia sono nate formazioni che hanno saputo ricreare questo tipo di atmosfere e di sonorità. Mi vengono in mente nomi, imprescindibili e indimenticabili, come The Spiritual Bat (i quali, nel 1994, ebbero la grande fortuna di essere la band d'apertura del concerto romano dei Daucus Karota, capitanati dal Nostro Mito Rozz Williams), Chants Of Maldoror, Madre Del Vizio (da subito divenuti una pieta miliare), Bohémien e, dulcis in fundo, Il Giardino Violetto (anche se il loro sound è darkwave, desidero ricordarli assieme ai nomi citati perchè in tutta Europa, grazie soltanto al loro demotape "Danse Macabre", sono diventati un’icona). A Firenze, città che ha dato i natali a band del calibro di Diaframma e Litfiba (i quali, all’inizio della loro carriera, proponevano un sound piuttosto darwaveggiante), si formano Le Vene Di Lucretia che, nel 2005, con Deadmovement, debuttano con l’omonimo album. Il gruppo è formato, essenzialmente, da Lorenzo e Tiziano, a cui si aggiunsero anche Marco e Alfio, attualmente non più nella line-up. Seppure l’aspetto dei componenti dell’ensemble non sia impreziosito dai look strabilianti a cui, le colonne portanti americane del deathrock, ci hanno abituato, Le Vene Di Lucretia colpiscono, comunque ed assolutamente, nel segno. Apprezzo, particolarmente, la scelta del gruppo di non intaccare l’incisività ruggente dei testi, del loro lirismo struggente (vedi “Bruciando Venezia”), cantando le parole in italiano. Inoltre, il suono della nostra lingua si amalgama, perfettamente, alle fulgide atmosfere sonore evocate. Il disco si apre con “Preludio”, i cui versi, graffianti “come artigli di corvo” (ciao Jim!): “Morte dolcissima è un gesto di amore” ne riempiono lo spazio. Approdando a “La Vestizione” la vaga sensazione che, dall’inizio dell’ascolto di questo lavoro, mi pervade, si fa sempre più nitida e ferma. Percepisco qualcosa a me familiare, il sound della chitarra accompagna la mia mente verso BariBari (Barry Galvin): le sonorità in “Atrocities” dei Christian Death e quelle presenti in “The Eternal Deep” dei Mephisto Walz. Mi accorgo, però, subito, che questa mia impressione è, in realtà, la garanzia del fatto che la foggia della band fiorentina è riconducibile, precisamente, al deathrock, di cui si fanno fautori e portavoce, attraverso le loro parole, taglienti e suggestive, vivide e dirette, come pure attraverso la propria pregevole architettura strumentale, che in determinati frangenti (“Teste di morte”) personifica anche uno splendido omaggio ai CCCP. Le vene di Lucretia è, insomma, l’ultimo esponente della grande famiglia Deathrock, nel cui albero genealogico compaiono nomi illustri, ma proprio perché “buon sangue non mente”, anche quest’ultimo membro si distingue e sa farsi onore, regalandoci fasti che non hanno nulla da invidiare alle meraviglie prodotte dai suoi “parenti”. Tornando a “La Vestizione”, le liriche incalzanti e incisive, dense di magnetico incanto, sono pungenti e pregevoli, preziose ed evocative. Ciò che ora scrivo per questa seconda traccia vale, in vero, per tutte le parole cantate in questo album. Ancora una volta, parallelismi con esempi di lirismo eccezionale quali “Silent Thunder” e “Tales Of Innocence” dei Christian Death post Rozz Williams, oppure con i testi cantati dai Chants Of Maldoror di “Thy Hurting Heaven”, mi permettono di comprendere che la band Le Vene Di Lucretia ha, seriamente, ottima stoffa da vendere. “Madre Nella Veglia”, terza traccia di questo lavoro, seppure appare meno incalzante della precedente, non perde però in vividezza, specialmente sottolineata dalla frase conclusiva: “Apri le tue vene”, ultimo monito prima del silenzio. “Golgota” è un breve intermezzo ambient, caratterizzato dal ritmo incessante della batteria e da campionamenti che paiono canti gregoriani, come pure dalle note di organo. Questo intermezzo si fonde con la successiva traccia “Le Vene Di Lucretia”, emblematico esempio di deathrock che spicca il volo all’alba di un bellissimo riff di chitarra, accompagnata dall’organo. Lasciatemi soffermare, ancora una volta e sempre, sui testi simbolici e ipnotici proposti dal gruppo: particolarmente in questa quinta traccia, le frasi risultano gorgoniche e ammalianti, come la pietrificante irresistibile bellezza di una divinità mitologica. Anche “Santa Violenta” ed “Harem” dimostrano quanto il sangue deathrock della band scorra, puro e veloce, nelle loro vene. Avvicinandoci a “La Morte Degli Amanti” e la sua duplice identità, conturbanti chiusure di questo album, vorrei fare un passo indietro e spendere due parole per la già citata “Bruciando Venezia”, ovvero la canzone di cui tutte le band vorrebbero avere avuto la paternità. Non si tratta, soltanto, di una notevole traccia, ma è un piccolo universo di emozioni, colori e brividi.
In cammino verso la fine, scelgo di chiudere questa mia recensione con un ricordo personale. Il 22 settembre 2006 ho avuto il piacere e l’onore di assistere alla performance live dei Le Vene Di Lucretia, al Kindergarten di Bologna. Ci tenevo moltissimo, i km di distanza fino a Bologna non hanno, minimamente, scalfito la determinazione del mio desiderio. Nonostante gli anni che corrono e fuggono, il ricordo di piena soddisfazione che, in me, è scaturita dalla loro spiccata bravura rimane, ancora e sempre, scolpito nella mia memoria.
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