So bene come raggiungere la mia personale dimensione di stordimento e dimenticanza senza far uso di sostanze particolari, e oggi grazie al web è per me più che mai a portata di mano, forse troppo: pochi click, qualche nota, poche immagini iniziali e ci sono.

Sci-fi vecchio stampo, anni 70-80, roba vintage si direbbe oggi.

Forse lo spazio che vi viene raccontato mi da l’idea di un brodo amniotico in cui poterci mescolare dentro i miei pensieri, una coperta di Linus con cui mi è possibile richiamare flash di sensazioni provate da banotto.

Sarebbe bello capire bene certi meccanismi della psiche.

Leiji Matsumoto è la pozione preferita dal mio cervello.

Tutto contribuisce a renderla particolarmente efficace: personaggi ed astronavi, le sigle italiane, le musiche originali, le voci narranti in italiano del primo doppiaggio, tutto percettibilmente ammantato da una coltre temporale sempre più spessa, onirica, oppiacea come direbbe il buon Buzz.

Ho un vago ricordo di quando vidi per la prima volta la Regina dei Mille Anni, credo di non averci capito nulla allora, ero davvero molto piccolo. Quel che ricordo è che in qualche modo riuscì a cogliere una nota malinconica più intensa rispetto ad altre opere di Matsumoto, un po’ di tristezza in più propria di un ciclo che si chiude.

Ricordo anche quanto mi sarebbe piaciuto capitare tra le braccia di quelle donne longilinee, esili, diafane, e affondare il volto nel loro petto, avvolto da quei loro capelli lunghissimi. I primi pruriti ormonali certo, ma c’era anche la voglia di immergermi nella loro aura magica.

Una legge che regola i mondi di Matsumoto è che solo creature femminili possono godere di poteri soprannaturali, i maschi (per quel che ricordo io), umani o alieni, anche se eroi, restano costretti nei limiti della loro condizione naturale. Se godono di potere, è un potere tecnologico o politico, nulla di soprannaturale.

Non credo si farebbe male a considerare “La Regina Dei Mille Anni” l’alfa e l’omega della produzione dell’autore. Chiude il periodo degli anime più amati tratti dalle sue opere, è allo stesso tempo è la storia meno lontana nel futuro (dal punto di vista di uno spettatore degli anni 80) tra quelle che ha scritto, il primo mattone di un universo che comprende almeno Capitan Harlock, Esmeralda e Galaxy Express 999.

Ho letto sul web una recensione approfondita intitolata appunto “La Regina dei Mille Anni” (non ho trovato il nome dell’autore, mi perdonerà se legge questa mia cosa e non lo cito) e pare che proprio Galaxy Express 999 e l’opera in considerazione siano in realtà due capitoli di una stessa storia. Se ho capito bene “Regina dei Mille Anni” è il nome che viene dato alla figlia della regina madre di Lamethal che questa invia periodicamente sulla terra (mille anni? ... boh?) per condurre al suo servizio giovani terrestri con grandi qualità. Nel Galaxy si tratta di Maisha, anche se il doppiaggio in italiano non aiuta a capirlo, in questo caso si tratta di Kira.

Entrambe le opere presentano una trama complessa, in cui non è ben chiaro fin dall’inizio quale sia l’impresa da compiere ed il nemico da affrontare, ed è presente una coppia di protagonisti formata da un ragazzino bruttarello ed una ragazza dai capelli biondi e lunghi con qualcosa di misterioso.

In questo anime entrano in gioco più fazioni, i terrestri, gli abitanti del pianeta Lamethal, i pirati, ed il principale nodo narrativo, la vera identità di Kira la protagonista, viene sciolto non troppo in fretta.

Ma in fondo non ho così tanta voglia di capirci troppo della trama adesso che di anni ne ho quasi quanto la regina, l’unica cosa che mi interessa è raggomitolarmi per qualche attimo nel ricordo che ho delle sensazioni provate da ragazzino, vedendo quelle immagini che allora mi fecero un certo effetto, in cui la protagonista si sacrifica per dare una speranza all'umanità.

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