Resteremo soli
finché i tempi non cambieranno
e coloro che hanno tradito
torneranno come pellegrini a questo momento
in cui noi non ci arrendiamo
e chiameranno quest'oscurità "poesia"
(Leonard Cohen da The Energy Of Slaves)
Non si sta poi male nella notte veneziana, occasionalmente in Piazza San Marco, bagnata d'acqua senza grondare. Acqua benedetta, di un temporale che doveva durare di più, almeno secondo il meteo, ma calmatosi inaspettatamente, quasi per non disturbare un'occasione così unica.
Non parlerò di prezzi di biglietti o di ritardatari che arrivano dopo un'ora dall'inizio del concerto. Poveretti quelli che pensano di quantificare in termini di denaro un miracolo di illusionismo e di psicanalisi collettiva (le modalità di fottere chi ti vuol far pagare fino a 172,50 euro si trovano: specialmente nei concerti di piazza...) e poveretti quelli che hanno perso l'inizio del maestro Cohen: "Dance me to the End of Love", "The Future", "Bird on a Wire", "Waiting for the Miracle", "Who by the Fire".
Davvero poveretti.
Il genio di Cohen si posa su questa Italia che sembra non capirci nulla più.
E ascoltando Cohen, subendo Cohen, mi viene in mente, non so perchè, De Andrè. Lui no, non sono mai riuscito a vederlo. Mi viene in mente perchè anche lui nella sua fierezza stonava con l'Italia di facciata e borghesotta. La sua faccia ce l'abbiamo bene a mente. Io personalmente ricordo il suo viso segnato e gli occhiali scuri marroni, che osservavano, e rispondevano all'Italia con canzoni d'amore e di battaglia.
Cohen fa di più. Non si fa vedere. Ti prende a pugni, ma non lo vedi. Non può essere un ologramma, pensi, eppure sembra non essere qui.
I mondi scelti dal genio valli a capire. E non perchè si perda in atteggiamenti ostili al pubblico, anzi: fa divertire quel vecchietto che accovacciato per sentire meglio la dodici corde del catalano Javier Mas, che si toglie il cappello quando Metger, Soldo e Larsen, rispettivamente con chitarra, fiato e Hammond, partono con degli straordinari assoli.
Soprattutto diverte la faccia di un vecchietto che ha capito le donne e le ha cantate per davvero, un elegantissimo signore che guarda Sharon Robinson e le sorelle Webb, coriste e intrattenitrici, e le sfida a colpi di savoir faire.
"I heard of a man
who says words so beautifully
that if he only speaks their name
women give themselves to him".
L'enigma vestito da vecchietto con borsalino non esita a mostrarci la sua grandezza. Possiamo solo rimanere a bocca aperta. Il silenzio fa assomigliare questo concerto a una specie di fuga a ritroso. Diventiamo tutti, per una sera, colpevoli di non essere contemporanei.
"Suzanne", "Sisters of Mercy" e "The Partisan", in fila, sono quanto di meglio si possa chiedere a un palco. E chi ascolta accompagna l'estasi con sorrisi e sguardi eterei.
"Halleluja" arriva a urlarlo Cohen. Halleluja Italia.
"Take this Waltz" è l'ennesima dimostrazione che non è il presente, non è lui. E che Venezia è più bella di Vienna questa sera.
Lo spirito di Cohen non se ne va dal palco. Il profumo è lì, e i le svariate e brevi uscite di scena non le rileva nessuno.
Lo spettacolo continua con "So Long Marianne". E se "Famous Blue Raincoat" appaga, "First we take Manhattan", è un ulteriore bastonata..
Lascia la scena alle sorelle Webb per una versione folk di "If it be Your Will".
E infine, con un balletto da rubacuori, parte con "Closing Time" e con "I Tried to Leave You" che rappresentano un adeguato suggello alla serata.
L'enigma ci saluta e se ne va. Qualunque cosa fosse ci ha messo alla prova.
E mentro passeggiamo per Venezia in attesa del treno delle 6.00 penso che stasera la poesia ci ha menato.
E ha fatto bene.
Tu vattene per la tua strada
che io andrò per la tua strada.
La più dolce canzoncina (Leonard Cohen)
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