Quante volte parliamo degli amatissimi Bob e Bruce. E quante ragioniamo dei nostrani Francesco, Faber e Roberto il Professore?

Quante volte ragioniamo di cantautorato, al di qua ed al di là dell'oceano? Di quanto sia grande, a volte miracoloso e irraggiungibile, chiudere un intero universo in tre minuti cantati?

Di quanto una canzone sappia spesso avvicinarsi a dio come e più d'un romanzo o d'un quadro?

Ma quante volte, per motivi assolutamente misteriosi che nascondono una piccola ma imperdonabile colpa, dimentichiamo questo splendido vecchietto magrissimo, dalla voce profondissima, calda e roca, e dall'impagabile dono della poesia naturale?

Quante volte, e perché, ci dimentichiamo di Leonard Cohen?

Faber lo amava e lo traduceva. Così De Gregori insieme all'amico Locasciulli.

Vecchioni in più d'un brano ne ha palesato il folle amore, al limite del devoto e perdonabile plagio.

Oltreoceano una paginetta non basterebbe ad elencarne allievi, ammiratori e cloni.

Ma lui è lì. E nel 2008 ha deciso di girare ancora il mondo.

Quando personalmente temevo che la sua voce si fosse abbassata fino a scomparire, e che mai avrei risentito aprirsi un concerto con la splendida "dance me to the end of love" ecco che spiazza tutti e ritorna, con un live semplicemente perfetto.

A differenza ed integrazione di quello dei primissimi '90, qui il repertorio è completo: il disco è doppio e nessun grande pezzo (o quasi) è lasciato fuori scaletta. Certo, personalmente avrei voluto sentire qualche brano in più del meraviglioso "ten new song", ma trattasi di un irrilevante prurito mio.

Il disco è, ripeto, semplicemente perfetto. Cantato e interpretato da Lui in maniera magistrale. La band corica lì, bello e fluidissimo, un sottofondo elegante, ma mai inutile o retorico. Ciascuno al suo posto al meglio delle possibilità. Professionalità e libidine. Capacità, tecnica e anima.

Le coriste fanno ovviamente le coriste "alla Cohen", e come potrebbe essere altrimenti? E tra le tracce si sentono solchi e suggestioni orientali, antiche, ma più spesso senza luogo e tempo.

Lui è persino allegro: introduce i brani con battute e piccoli racconti, ed esalta la poesia della proprio lunga ed imprescindibile opera.

Poi, come arrivato, se ne va.

Un piccolo grandissimo uomo. Una terza età invidiabile e sicuramente irraggiungibile. Noi, piccoli musici di provincia, a quel tempo saremo in grado sì e no di fare ancora un giro di sul su un chitarrone scordato, e correremo dietro alle suore del ricovero per toccacciarle.

Leonard Cohen è una persona stupenda, ed un poeta e musicista inarrivabile. È la speranza che non sappiamo confessare. L'ammirazione adulta senz'ombra di vergogna.

Nel mondo degli squallori quotidiani strombazzati non si può che provare gratitudine, e sentirsi eternamente in debito con Leonard Cohen, un uomo che sussurra cose bellissime.

Carico i commenti...  con calma