PREMESSA La presente recensione verte solo su “Suzanne”, e non su “Take This Longing”, lato B del singolo del ’76, uscito nei Paesi Bassi, nel Regno Unito, in Grecia e in Yugoslavia (secondo la pagina Discogs).

Nel caso di alcuni artisti, una singola canzone, da tre minuti, può contenere in essa tutti i possibili messaggi e temi, oltre alle possibili sfumature concettuali, che verranno riconosciuti ogni volta, presenti, dall’ascoltatore, e probabilmente anche dall’artista stesso, in tutte le altre opere e omissioni – se mi è permesso di parafrasare, tra il serio e il faceto, la formula ecclesiastica. Nel caso di Leonard Norman Cohen, e del suo repertorio musicale, la canzone che rispetta il suddetto requisito è quella che apre il suo primissimo lavoro da cantautore, presentandolo, di fatto, al mondo. Dico “da cantautore” perché, in realtà, lo chansonnier canadese nasce come poeta e romanziere: già negli anni ’50 la sua penna è una garanzia, e i suoi sforzi letterari vengono premiati, in patria, dal successo.

Il solenne prestito, di natura citazionistica, che io, recensore, mi sono concesso, per affrontare con un po’ di leggerezza la materia coheniana, ha un motivo ben preciso: “Suzanne”, breve e intenso bozzetto elegiaco che apre l’LP d’esordio di Leonard Cohen, semplicemente intitolato “Songs of Leonard Cohen”, dato alle stampe dalla Columbia Records nel dicembre 1967, è una delle tante canzoni, della produzione del cantautore canadese, nelle quali viene fatto largo, eppur meditato, uso di metafore bibliche per raccontare il rapporto sognato.

La genesi di “Suzanne” risale all’estate del ’65, quando Leonard passa buona parte dei suoi giorni in compagnia della giovane ballerina bohémien Suzanne Verdal, verso la quale sente un profondo amore platonico. I loro incontri si svolgono indifferentemente in un capannone di proprietà della ragazza, sul fiume St. Lawrence, a Montréal, o nel quartiere storico della città, dove i due sono soliti passeggiare, costeggiando la chiesa di Notre-Dame-de-Bon-Secours, dove i marinai, nell’Ottocento, venivano benedetti prima di andare per mare.
Tinteggiato di malinconia, il brano tocca temi come l’amore, il desiderio, la redenzione e la fede. Alcuni hanno supposto che Cohen faccia riferimento, nel testo, a un suo presunto rapporto sessuale con la ragazza del titolo, ipotesi smentita da entrambi i diretti interessati.
Non si tratta dell’unica lirica dedicata a una delle sue tante muse: già nel 1966, prima di esordire discograficamente, nella raccolta poetica “Parasites of Heaven” erano comparsi diversi componimenti in onore della Verdal, tra cui una versione embrionale del brano, intitolata, prosaicamente, “Suzanne Takes You Down”.

La tenera ode, con la quale Leonard decide di invitare l’ascoltatore nel suo universo, mette in luce la dimensione spirituale del quotidiano. Il molo sul St. Lawrence River di Montréal, città natale dell’artista, rappresenta un passaggio per la dimensione spirituale. Lo spazio rimane immutato – è l’ascoltatore, piuttosto, che viene stimolato a guardare al sacro in maniera diversa, e a immaginarlo anche nei luoghi del quotidiano, legati alla sofferenza e alla miseria.
Cohen non è tanto interessato al sacro strictu sensu, ma affronta con grande sensibilità e profondità la materia antropologica, andando a scavare nell’interiorità dell’essere umano, frammentato. Rievocando il molo di Montréal, egli invita a seguire la figura femminile proprio su quel molo. La relazione tra Suzanne e il protagonista maschile della canzone, suo amante, è fondata sulla ricerca di reciproca fiducia, anche se la fiducia di cui la ragazza gode sembra immeritata, perché potenzialmente pericolosa (viene etichettata, non per forza in maniera malevola, come “half crazy”). Il tema dell’imperfezione (contrapposta alla perfezione), insieme al dubbio assillante che uno dei due non sarà capace di soddisfare i bisogni dell’altro, è il fulcro tematico del brano.

Ma nell’incontro descritto, gli amanti trovano quella pace e sicurezza che la costruzione sonora comunica. La musica è prevalentemente acustica, e l’inflessione vocale di Cohen è quantomai pacata, come a restituire una sensazione di delicatezza che sembra voler risolvere – riuscendoci effettivamente –, il rapporto tra vita spirituale e passione carnaletematica tipica del repertorio dell’autore. È la donna a rappresentare iconicamente tale rapporto, tramite l’enigma della propria bellezza.

Nella seconda strofa viene introdotta la figura di Cristo, e Cohen descrive il Nazareno come un marinaio. Questi non gioca il ruolo messianico di chi ha il compito di salvare il mondo; in realtà, viene descritto come una figura spezzata, ed è proprio il tema della frammentarietà, tipicamente umana, a rappresentare un elemento centrale dell’opera coheniana. Soprattutto, Gesù viene presentato come relitto, in quanto non riesce ad accettare la propria umanità. Può essere solo “almost human”, come dice Cohen. Dal momento che Egli abbandona la sua componente umana, non è abbastanza degno della fiducia dell’uomo. Il cantautore chiude la seconda strofa così: “He sank beneath your wisdom like a stone”, facendo seguire il ritornello, sulla falsariga del primo, “And you want to travel with him, and you want to travel blind, and you think maybe you’ll trust him, for he’s touched your perfect body with his mind”. Inoltre, cita lo stesso bisogno della precedente stanza, il desiderio di “travel blind”, suggerendo che forse anche Gesù potrebbe soddisfare questo desiderio, ma aggiunge un “maybe” alla possibilità di fidarsi di Lui, gettando così un’ombra sulla sua figura.

Alla fine, ricompare Suzanne, come l’unica persona che può veramente accogliere gli altri esseri umani. La terza e ultima strofa inizia con il verso “Now Suzanne takes your hand”, dimostrando che, dove Gesù aveva fallito nell’ottenere fiducia, Suzanne, invece, riuscirà a farsi seguire, perché non rinuncerà alla propria terrestrità, e il suo scopo sarà quello di portare conforto. La canzone si chiude con “And you know that you can trust her, for she’s touched your perfect body with her mind”. Il cerchio, a questo punto, si chiude. Proprio come Suzanne ha offerto la sua fiducia all’inizio della canzone, così il “tu” della canzone ora ricambia questa fiducia, e accetta di essere guidato dalla ragazza, che accoglie nella sua dimora il sofferente. È sul molo che la dimensione spirituale e quella terrestre si incontrano e trasformano la vita umana in uno spazio consacrato. Ma questo è possibile solo se l’umanità viene accettata e abbracciata, e non soppressa in favore del divino.

Sulla base dell’analisi del sacro esposta sopra, si potrebbe facilmente affermare che il pezzo possieda una qualità mistica, eppure Cohen ha insistito più volte che si trattasse di puro giornalismo, condito di elementi di fantasia, connessi alla sfera dell’immaginazione. Secondo le sue parole, il brano non sarebbe quindi altro che un reportage, messo in musica, di ciò che accadeva nel capannone. In più di un’intervista, all’autore è stato chiesto quale significato si celasse veramente dietro versi come “And she feeds you tea and oranges that come all the way from China”. La sua risposta è sempre stata: “Mi dava da bere del tè chiamato Constant Comment, che dentro ha dei piccoli pezzi di scorza di arancia, e questo ha dato vita all’immagine”.
Anche la Verdal si è espressa al riguardo, ai microfoni della BBC Radio, nel 1998, ricostruendo un po’ diversamente gli antefatti: “Io e Leonard abbiamo preso del tè molte volte, accompagnandolo a dei mandarini … accendevo sempre una candela, e servivo il tè, e nella stanza regnava il silenzio per diversi minuti, poi parlavamo, discutendo di vita e di poesia, all’insegna di uno scambio di idee”.
Un’altra caratteristica che emerge riguardo alla personalità di Suzanne è la sua devozione all’ambiente. Negli anni ’60, è una delle prime persone a dedicarsi al riciclaggio. Cohen descrive l’abbigliamento della ragazza: “She’s wearing rags and feathers from Salvation Army counters”, una scelta derivata dal suo impegno nel riconvertire vecchi vestiti.

Il merito di aver reso famoso il brano, prima ancora che l’autore lo pubblicasse effettivamente a proprio nome (anche se il solo testo era già stato divulgato, come poesia, e il brano eseguito live dagli Stormy Clovers), va riconosciuto a Judy Collins, che lo ha incluso nel suo album del ’66In My Life” (dall’omonima canzone dei Beatles). La versione storica, e considerabile a tutti gli effetti originale, di Cohen, non è mai entrata in classifica.
Introducendo la canzone, durante la sua performance alla BBC, nel ’68, il cantautore canadese disse di fare affidamento esclusivamente sulle sue interpretazioni dal vivo di “Suzanne”, dal momento che, piuttosto ingenuamente, aveva ceduto i diritti del brano in un documento legale sottopostogli ingannevolmente, e che non si era preoccupato di leggere.

Delle innumerevoli cover che ne sono state fatte, sono altamente consigliate quelle di Fabrizio De André (italianizzata, e uscita come singolo nel '72, con "Giovanna d'Arco" sul secondo lato), di Francoise Hardy (francesizzata, e tratta da "Comment Te Dire Adieu" del '68), di Joan Baez, dei Pearls Before Swine, dei Fairport Convention, di Nina Simone, di Nick Cave, e ultima, ma non per importanza, la versione di Peter Gabriel, tratta dall'album tributo "Tower of Song", del 1995.

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