Forse a causa di una velata scaramanzia, sono abituato a considerare il terzo album come la prova del nove, la conferma (seppur giovane) della consistenza di un artista, e quindi una valida scommessa sulla sua longevità. Certo non sempre ci si azzecca, ma mi è capitato spesso di imbattermi in “prove del nove” in cui i conti non quadrassero, rivelandosi foriere di incertezze che sarebbero presto venute a galla: vuoi per una fondamentale mancanza di idee, vuoi per i dubbi sulla direzione da intraprendere. Nel caso dei Les Discrets, progetto firmato dalla penna elegante di Fursy Teyssier, temo che si caschi nella seconda categoria.
Il loro terzo album, Prédateurs, ha subito una gestazione insolitamente lunga: Ariettes oubliées risale a ben cinque anni fa, e in questo periodo il buon Fursy deve aver ponderato non poco sul da farsi, essendosi forse accorto che quell'ibrido di post-black e sonorità shoegaze (molto alla lontana, beninteso!) rischiava già di implodere dopo gli entusiasmi iniziali. Tanto poetico e intelligente era il debutto Septembre et ses dernières pensées (2010), quanto stantio si è poi rivelato il suo successore; più che di un genere si tratta di una commistione di suoni molto particolare e fino a qualche anno fa persino innovativa, ma allo stesso tempo troppo derivativa per garantire una propria autonomia sulle lunghe distanze.
E così, mentre i cugini e conterranei Alcest si avventuravano nei territori dream-pop con risultati a mio avviso piuttosto blandi (Shelter, 2014) e i Lantlôs si davano definitivamente al post-metal (Melting Sun, 2014), Fursy, reduce da intense sessioni d'ascolto di trip-hop e qualche anticaglia ottantiana, iniziava a gingillarsi con un fantomatico side project chiamato Sainpaul, salvo poi ricredersi e pubblicare gli inediti sempre sotto il nome dei suoi Les Discrets. Una scelta condivisibile, perché se è vero che Prédateurs si spoglia delle distorsioni metalliche lasciando trasparire altre ascendenze, non si può proprio dire che la poesia notturna del nostro artista ne sia uscita snaturata; semmai si è fatta sottile, cinematografica, e anche meno incisiva del previsto – la copertina pare suggerircelo.
I risultati sono interessanti ma alterni, si percepisce la timidezza di chi non ha ancora familiarizzato del tutto con la nuova forma: Virée nocturne trasuda trip-hop dai beats, dal basso pulsante ed ipnotico, dagli arpeggi sensuali; per un attimo sembra quasi di essere tornati nella Bristol anni '90, ma i vocalizzi sognanti di Fursy e il suo squisito accento francese ci riportano presto alla realtà. Il primo scorcio sul panorama plumbeo del disco convince e coinvolge senza esaltare, e Les amis de minuit, con intrecci raffinati di chitarre acustiche/clean e giri sinuosi di batteria, segue sommessa e impalpabile come una scia. Immancabili i sussurri femminili di Audrey Hadorn, sebbene come al solito il suo contributo non si spinga oltre il mero accompagnamento.
Vanishing Beauties rimette in gioco un'elettronica più ficcante e le infiltrazioni coinvolgono anche la voce di Fursy, ora distorta e tormentata; la ripetitività è però dietro l'angolo, e infatti con Fleur des murailles si sconfina in una tediosa nenia al chiaro di luna, peraltro tentando di omaggiare di nuovo i Portishead di Dummy. Si continua così tra momenti di spicco, come gli sprazzi darkwave di Le reproche o l'elegia soffusa di Rue Octavio Mey, e qualche tentennamento, per la composizione raffazzonata e le melodie evanescenti (Les jours d'or) o semplicemente perché l'idea viene appena abbozzata (Lyon - Paris 7h34).
Prédateurs appare come il tipico album interlocutorio, affascinante per gli intenti ma con la messa a fuoco ancora tutta da aggiustare: sfiora più generi, dal post-rock al dream-pop passando per il trip-hop, condisce il tutto in salsa darkeggiante, eppure fatica ad imporsi in ogni caso. Certo, dopo cinque anni ci si poteva aspettare qualcosina in più non solo nella qualità, ma anche nella quantità (tolta l'intro, restiamo con 40 minuti scarsi di musica), tuttavia è comprensibile l'intenzione di non voler strafare. Con discrezione (ahem) e cautela, ma sempre fedeli alla propria visione artistica, Les Discrets proseguono il loro percorso portandosi dietro non pochi punti interrogativi, ai quali si spera che non risponderanno con un dietro front.
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